IL DOPPIO
NELLA LINGUA E NELLA LETTERATURA ITALIANA

 

Si persiste, per una lunga abitudine di cui l'uso linguistico ha solcato la nostra concezione del valore letterario, a indicare l'auspicabile qualità estetica come quello che è unico, singolare, impareggiabile; è di regola l'eccellente, l'inedito, il genuino a costituire l'attributo necessario di ciò che è pregiato. Forse perché i casi dell'unico irriproducibile, in pratica, sono rari, e più unici che rari: la civiltà e la sua storia sono cosparse di ripetizioni sia nell'individuo che nell'ambito sociale, la cultura vive di repliche, copie, imitazioni, l'arte è fatta di effetti speculari. Pure in campo letterario e linguistico il doppio regna sovrano. Può sembrare un'invenzione recente, dovuta al sovvertimento tecnologico dell'aura dell'autenticità (Benjamin) e alla propagazione del simulacro proliferato in una civiltà del molteplice (Baudrillard). Ma il doppio si è insinuato tra le radici stesse della creazione sin dai tempi immemorabili, e se l'uomo fu fatto sull'immagine di Dio o degli dei, o viceversa, il procedere per emulazione di modelli pare un tratto essenziale dell'operare umano.


Gli oggetti del nostro interesse principale – la letteratura e la lingua che si costituiscono e si trascendono a vicenda – sono irreparabilmente segnati, dunque, dall'idea della mimesi, affermata o negata che sia dalla riflessione teorica. Produttrici di doppi ambedue, hanno da sempre speculato su, o si sono rispecchiate nelle nozioni della somiglianza, identità e differenza, nel problema del loro adeguamento a presunti modelli referenziali e del loro dislivello ontologico rispetto a questi ultimi, sugli effetti perturbanti del loro potere performativo di produrre forme e contenuti concorrenti, o suscettibili di confondersi, con le entità «originali» e «originarie» del mondo, della realtà storico-empirica o metafisica, della tradizione con i suoi codici, topoi, canoni. Si sono sempre sforzate di definirsi in rapporto a quanto il sistema culturale in questione soleva definire come primo, come idealmente unico, unitario, inimitabile, fondamentale.


La doppiezza che il testo letterario si accinge ad esaminare scaturisce, infatti, dalla duplicità imprescindibile del suo mezzo espressivo, pure teso a fare i conti con la propria natura di sostituto tropologico dei presunti contenuti del mondo, mediati a loro volta da concetti-significa(n)ti. Consistenti di soli doppi, la lingua, la letteratura e, in genere, tutta l'arte rappresentativa che Platone nel suo Fedro definì come «zoografica» - trascrittrice e pertanto contraffattrice della «vita», e dotata dell'ambigua abilità a sopppiantarsi in modo magico, o più o meno illecito, al rappresentato, o addirittura a produrre i propri «originali», ribaltandone il privilegio prioritario – sembra proporre una gamma caleidoscopica degli aspetti del doppio da esaminare:


1) le vicende e le trasformazioni della «mimesi», tacitamente reintrodotta negli sviluppi recenti dei cosiddetti approcci culturologici e neostoriografici al testo letterario;
2) le tematizzazioni metatestuali del lavoro artistico e/o linguistico, cioè semiotico, come raddoppiamento docile o ribelle rispetto ai modelli, al canone, ai codici che vi si sottendono;
3) la topica dei ritratti pittorici o scultorei, delle immagini speculari, dei sosia e dei gemelli, delle repliche meccaniche, degli spettri onirici, dei fantasmi proiettivi, delle maschere e dei travestimenti, degli scambi e dei simulacri, delle duplicazioni fedeli o simulate, falsamente o giustamente riconoscibili, conformi o deformate, animalesche o mostruose;
4) il genere fiabesco, fantastico o «storico» come riflesso speculare o anamorfico di immagini «vere»;
5) la parte degli espedienti retorici fondati sul raddoppiamento o sull'analogia, come metafore, metonimie, chiasmi, antitesi, ipotiposi ecc., dagli effetti illocutoriamente duplicanti;
6) le ossessioni del nuovo, dell'identico, dell'unico, dell'irreplicabile, che non possono fare a meno di ri-produrre e di ri-prodursi, con la conseguente repressione del doppio aborrito o abietto, in quanto minacciante di invadere il dominio dell'unico;
7) la parafrasi, l'interpretazione, la traduzione, la riduzione teatrale o cinematografica, la trasposizione da un genere all'altro, alle prese con le loro rispettive funzioni duplicanti;
8) la lingua e la letteratura italiana e i loro modelli stranieri e classici;
9) la lingua e la letteratura italiana come modelli di doppi stranieri;
10) la ripetizione, la circolarità e l'eterno ritorno;
11) la dubbiosa natura della riproduzione, della replicazione, della ri-presentazione e della rappresentazione nei confronti dell'identità e del precedente; il doppio nel cinema e nel teatro italiano
12) i modelli mitologici, antropologici, psicanalitici, archeologici, pittorici o plastici della doppiezza come doppi della letteratura;
13) plagio, influsso e autenticità;
14) parodia e grottesco come doppi stilistici;
15) performativo/constativo come produttori di duplicità;
16) sinonimia, omonimia, omofonia, omografia, polisemia ecc.;
17) doppi fonologici, morfologici, sintattici, lessicali;
18) il doppio diamesico (parlato/scritto);
19) doppio sociolinguistico (bilinguismo, alloglossia, diglossia, eteroglossia ecc.)

L'elenco riportato sopra non propone che un campione provvisorio dei vari risvolti offerti agli studiosi di Italianistica dalla problematica del doppio di cui sono intrise la lingua e la letteratura italiana. Vi invitiamo a completarne l'ossatura con i Vostri contributi da presentare al Convegno Internazionale «Il doppio nella lingua e nella letteratura italiana» previsto per l'autunno del 2004 al Centro Studi Interuniversitari di Dubrovnik, organizzato dal Dipartimento di Italianistica dell'Università di Zagabria in collaborazione con l'Istituto Italiano di Cultura di Zagabria, con l'Associazione Internazionale per lo Studio della Lingua e della Letteratura Italiana e con il Dipartimento di Italianistica dell'Università di Pécs. Si prevede la collaborazione di altre due Università straniere.