Barbara Ambrosi

Università La Sapienza, Roma (IT)

 

Lo sdoppiamento della personalità come grado superiore di coscienza nel romanzo futurista Una donna con tre anime di Rosa Rosà

Una particolare commistione di essoterismo, misticismo e virtuosismo lirico sposata a ferree convinzioni in materia evoluzionista ed emancipazionista rendono il breve romanzo Una donna con tre anime (1918) un'esperienza singolare ed importante, nonché colpevolmente misconosciuta, nel panorama letterario italiano degli anni Dieci, rivelando un nuovo talento, quello di Rosa Rosa, nella cerchia della rivista «Italia futurista», veicolo divulgativo fondamentale del cosiddetto secondo futurismo fiorentino, corrente che si differenzia nettamente dal futurismo milanese facente capo a Martinetti e Boccioni e dal primo futurismo fiorentino lacerbiano di Soffici e Papini.
Protagonista del romanzo è una donna che, dopo essere rimasta esposta agli effetti d'una tempesta magnetica, vive degli inquietanti fenomeni di sdoppiamento della personalità che la portano ad esperienze di scrittura automatica e di preveggenza di importanti eventi scientifici e sociali. Lo stile del romanzo, caratterizzato da un grado estetico molto elevato ma anche da similitudini geometriche di gusto squisitamente futurista, sono funzionali alla descrizione di un'oggettività solo in apparenza unidimensionale, ma rivelatrice in realtà di una molteplicità prossima ad esternarsi in maniera traumatica. Solo quattro anni prima della pubblicazione del romanzo in questione era apparso sulla scena culturale internazionale il fondamentale saggio di Otto Rank Il doppio: la controversa questione della moltiplicazione della personalità e fortemente sentita non solo dalla comunità intellettuale ma dall'intera compagine sociale negli anni a ridosso della Prima guerra mondiale e l'accento è posto drammaticamente sulla scissione dell'individuo e delle percezioni. Nonostante la complessità della sua opera prima (che il mio intervento si propone di focalizzare), densa di connessioni rispetto a questa temperie europea e non solo, l'austriaca naturalizzata italiana (e che nella sua carriera letteraria scriverà sempre e solo in lingua italiana) Rosa Rosà cerca di conferire una valenza edificante ai fenomeni di sdoppiamento e di perdita momentanea del sé.
Il termine- chiave trasfigurazione usato dall'autrice per descrivere gli sdoppiamenti di personalità e le opere artistiche che ne scaturiscono vuole indicare un piu stretto legame tra moti interiori e sembiante esterno, ed indica in prospettiva una prossima via all'emancipazione della donna. La sovrapposizione momentanea delle due personalità suscita nella protagonista la sensazione d'essere sopraffatta da un'entità estranea ma speculare, che la porta a spingere il suo pensiero verso orizzonti nuovi e mai immaginati: in questa graduale presa di coscienza, o per meglio dire in questa inaspettata lungimiranza sta il senso profondo dell'arcano mutamento della protagonista che, ormai pervasa da una nuova realtà, possiede anche una nuova memoria di sé. L'introspezione psicologica si accompagna ad un assai poco velato attacco alle convenzioni sociali; le tre personalità assunte nel corso della narrazione dalla protagonista assumono un significato di precoscienza: da un lato l'amoralità e l'individualismo, dall'altro una totale estrinsecazione delle proprie potenzialità mentali e creative. La finalità di questo intervento è l'illustrazione dei passaggi più significativi di questo testo così unico e del suo ruolo pregnante nel panorama del secondo futurismo fiorentino, movimento culturale aperto alle tematiche del Doppio come raramente possiamo altrove riscontrare.

Silvana Biassoni

Università di Zagreb (HR)

 

 

Il doppio ne La luna e i falò di Cesare Pavese:

il protagonista, aspetti del suo passato, i suoi viaggi

 

Il romanzo di C. Pavese è la storia di un viaggio, nel tempo e nello spazio, di un emigrante che ritorna alla sua terra d'origine, alla ricerca del suo passato e soprattutto del senso del vivere. E' l'ultima opera di uno scrittore che, nonostante il successo letterario, si suiciderà di lì a poco. E questo già ci fa prevedere quale sarà l'esito della ricerca. Il protagonista si presenta così nella doppia veste di narratore e protagonista vero e proprio del viaggio: li distingue l'elemento tempo e dunque la conoscenza dei risultati finali della ricerca che solo il narratore ha.

Ma questo viaggio ne contiene un altro, compiuto in un altro tempo e con altre finalità dal protagonista emigrante, in cerca di affermazione e di costruzione di un progetto di sé. Se il primo è un viaggio nel tempo questo secondo è un viaggio nello spazio, diverse le finalità, uguale il fallimento.

Nel viaggio nel tempo il protagonista ha bisogno di una guida che lo aiuti a riappropriarsi del tempo perduto: è Nuto, il suo doppio in positivo, quello in cui si vede realizzata quell'aspirazione posta come premessa al racconto: Ripness is all. E' colui che ha acquisito virtute e canoscenza senza bisogno di viaggiare nello spazio, rimanendo fermo nel mondo circoscritto del paese, l'esatto contrario dell'Ulisse dantesco e dei suoi epigoni novecenteschi. Un traguardo questo precluso al protagonista ancor prima che la storia cominci, il fallimento anzi è nelle origini stesse della sua vita.

Il rapporto tra il protagonista e la sua guida richiama per analogia quello della Commedia dantesca e, man mano che il passato ritorna, questo viaggio appare sempre di più come una discesa nel mondo dei morti.

Nella sua perlustrazione delle colline alla ricerca dei luoghi cari, il protagonista incontra immagini, situazioni, persone che rappresentano il doppio del suo passato, ma alterate da un crescendo di orrore e di morte. Unico doppio positivo che gli restituisce il sentimento della sua infanzia è Cinto, il figlio del Valino, ma anche lui con i segni di una menomazione, è zoppo.

La conclusione è la scelta obbligata di vivere a Genova, un luogo da cui si può solo partire per altri viaggi di cui si è già esperito il non sense, immagine stessa dell'inutilità del vivere o, se si vuole, di una morte in vita che ci richiama alla mente il finale del Fu Mattia Pascal con la sua scelta di rinchiudersi in una libreria polverosa, anche lui giunto al termine delle sue peripezie.

L'andare o il restare sono quindi connessi tra loro a formare un ossimoro che comunica al lettore, nella sua paradossalità, il sentimento tragico di un disagio esistenziale senza speranza.


Teresa Bonaccorsi

Università di Pisa (IT)

 

 

La scelta di alcune poesie filosofiche di Tommaso Campanella sulle tracce della Commedia dantesca

 

Nell'eterogenea e complessa produzione filosofica, politica e letteraria di Tommaso Campanella, la poesia occupa un posto significativo come luogo dell'immediatezza autobiografica, della sintesi tra teoria filosofica e politica e  vissuto personale, dell'epifania della missione religiosa di cui il poeta-profeta  si sente investito.  Luogo dell'autenticità, dunque, ma di una autenticità spesso ricalcata sulle tracce di un modello letterario e ideologico con cui lo Stilese si confronta: la Commedia di Dante Alighieri. Del poeta fiorentino Campanella imita linguaggio e  immagini, mentre il suo viaggio esistenziale e letterario assume una direzione diversa rispetto all'avventura conoscitiva e personale del pellegrinaggio dantesco. Parole,  sintagmi, immagini, rime, figure retoriche che riecheggiano più o meno palesemente il testo dantesco non si pongono come semplice omaggio a una auctoritas letteraria che la cultura contemporanea a Campanella  tende anzi a sminuire e a non affrontare nella sua complessità; per lo Stilese riferirsi a Dante significa additare un modello ma al tempo stesso superarlo, come rivelano, indagate minutamente a partire da uno spoglio dell'intera raccolta campanelliana a confronto con le cantiche dantesche, le particolari dinamiche della citazione e della ripresa testuale.

Il doppio dantesco si pone inoltre come direzione per la ricerca di un linguaggio poetico nuovo, capace di parole che sembrino cose, piuttosto che parole: il nuovo, la sperimentazione si connota anche con le sfumature del modello, come recupero di un  linguaggio poetico primordiale, originale perché appunto in contatto con l'origine della poesia.


Smaranda Bratu Elian

Università di Bucarest (R)

 

 

Il motivo del doppio nella narrativa di Leonardo Sciascia

           La relazione intende di sviluppare il motivo del doppio nell'opera sciasciana in più ipostasi: quella del mondo dei personaggi (la quasi totalità dei romanzi così detti gialli di Sciascia hanno due protagonisti antinomici e allo stesso tempo complementari, e da questa antropologia sdoppiata nasce la fondamentale doppiezza o ambiguità del messaggio del testo), quella del doppio stilistico della parodia (non solo implicita, che traspare dalla quasi totalità delle opere dello scrittore siciliano, ma anche esplicita – alcune delle sue opere essendo addirittura intitolate parodie), quella della scrittura come eco di un'altra scrittura (suggerita in molte opere sia dall'autore omnisciente, sia da vari personaggi,  e arrivando fino alla totale riscrittura  di un'altra opera di un altro scrittore, cioè del racconto filosofico di Voltaire, Candide), quella del ritmo compositivo doppio (alcune delle sue opere sono state concepite come dittico; e, inoltre, studiando le tappe creative dello scrittore si può osservare facilmente che Sciascia, nel periodo della sua piena maturità creativa,  ha praticato parallelamente due generi – il giallo e il romanzo-inchiesta – che sono due direzioni narrative modellate da lui per completarsi e rispondersi alternativamente e reciprocamente) e fino a quella delle stesse scelte esistenziali dello scrittore (l'ardente impegno politico, contestatore di una certa politica e di un certo Stato vs. il pacifico statuto di funzionario di quello stesso Stato). La relazione si propone, con questo “sparpagliamento” di entrare nell'intimo del meccanismo creativo di uno scrittore in cui il motivo del doppio non è solo un fatto letterario ma anche antropologico, uno scrittore che voleva che sulla propria tomba fosse scritto “Ha contradetto e si è contradetto”.

 

Tomislav Brlek

Universita di Zagreb (HR)

Professione: doppio. Reporter nostalgia cinema (Tarkowsky e Antonioni)

 

Francesca Broggi–Wüthrich

Universität Zürich (CH)

 

 

Il 'doppio ossianico' e la traduzione del settecento

 

Gli studi che hanno approfondito il discorso sul doppio nella traduzione hanno finora tralasciato di analizzarne la natura e la concezione nelle traduzioni ossianiche. La traduzione di secondo settecento, si sa, mira ad importare opere straniere per avvicinare la cultura dell'altro alla propria. In questo contesto le traduzioni della poesia ossianica occupano una posizione privilegiata perché in breve tempo hanno impatto stravolgente ed accelerano il percorso verso il Romanticismo. Al contempo, tuttavia, nessun altro testo 'originale' come i canti celtici del bardo Ossian dipende dalla sua riproduzione (doubling) per esistere.

Il desiderio (il desire) della creazione, come proposto da M.me de Stäel e da Friedrich Schlegel, implica il ri-creare, il ri-proporre ciò che è nella memoria e nell'animo e che non può essere espresso (l'inexprimable). L'idea originale dunque ha esistenza speculare e ritrova vita nella manifestazione storica. In questo senso la liaison testuale che esprime il significato originale, l'arcano, è destinata a sciogliersi continuamente per essere rinnovata all'infinito in altro contesto e in altro tempo. Il doppio quindi, il rapporto esclusivo fra testo e traduzione, suo specchio, si dissolve in una molteplicità infinita di possibili relazioni.

Indagando le teorie delle traduzioni di secondo settecento rintracceremo la natura del 'doppio ossianico' e ne analizzeremo la presenza nel testo "(pre)romantico" facendo riferimento ad autori canonici quali Giacomo Leopardi, Ugo Foscolo ma anche marginali quali la compagine femminile.


 

Luisanna Cammarano

Universität Hannover (G)

 

 

Poli-/enantiosemia e isotopia come strategie testuali: per un'analisi della "terza pagina"

 

L'intervento si incentra sul tema del doppio nell'ambito sia della polisemia sia di un caso particolare di questa, l'enantiosemia; in particolare, tratterò i rapporti tra parole o espressioni poli-/ enantiosemiche e l'isotopia. Dunque la prospettiva assunta è quella semiotica; l'analisi è condotta sulla base di un corpus composto da articoli tratti dalla cosiddetta terza pagina di quotidiani italiani.

L'isotopia, se considerata secondo la definizione di U. Eco “la coerenza di un percorso interpretativo”, è una struttura di ordine semantico già inerente al testo, mentre la topicalizzazione è un atto pragmatico, la cui realizzazione, nonché il livello di definizione analitica, dipende sia (in maniera esplicita) dall'enciclopedia del lettore, sia (in modo implicito) dal sapere enciclopedico richiesto dal testo stesso.

Nell'ambito di tale duplice rapporto diventa fondamentale chiedersi quale influsso possa  esercitare sui suddetti percorsi ed atti interpretativi l'occorrenza di espressioni polisemiche. In particolare è interessante verificare se esistano rapporti di reciprocità tra espressioni enantiosemiche e percorsi bi-/poliisotopici, e se per tali rapporti sia legittimo parlare di strategie testuali.

Le riflessioni relative a questo argomento si inseriscono in una più vasta ricerca su testualità e comunicazione nella “terza pagina”, un tema che ha goduto finora di poca attenzione, anche perché apparentemente refrattario ad ogni tentativo di approccio analitico.


Marinella Cantelmo

Università di Lecce (IT)

 

 

Il “nido” e il suo doppio. Duplicazione e specularità nelle topologie pascoliane

 

            L'interpretazione corrente della poesia di Giovanni Pascoli si risolve in una lettura “totalitaria” in chiave tematica di origine autobiografica. L'episodio saliente della biografia del poeta, l'uccisione del padre, segna a fondo la vita di Giovannino, che di lí a poco rimane orfano anche della madre, mentre la catena dei lutti familiari si allarga a coinvolgere buona parte dei suoi numerosi fratelli. L'assassinio di Ruggero Pascoli, rimasto per giunta impunito, con quel che segue segna anche la crisi del nucleo familiare, la fine di quel “nido” di solidarietà e di affetti che il poeta sognò a lungo di ricostruire, prima di potersi ricongiungere con le sorelle superstiti, cui dopo molti anni riuscí ad offrire il tetto e il rifugio di cui erano rimaste lungamente private.

            Come si vede, la perdita ha un suo “luogo” testuale ben preciso: il “nido” è innanzi tutto uno spazio ben definito do di relazioni che prima c'era e che poi non c'è piú: per questo il “nido” è il luogo deputato dell'ambivalenza, il luogo dell'eterno rinnovarsi del lutto: esso diviene infatti il luogo della perdita, che paradossalmente protrae in un tempo senza scadenza le relazioni dell'assenza.

            Il nodo di affetti sussiste anche se taluni estremi in cui si annoda la loro rete si azzerano in una serie sempre piú lunga di posti vuoti. Il “posto” del padre, quello della madre e via via di fratelli e sorelle che scompaiono dalla vita restano, anche se chi occupava quei posti non c'è piú. Il lutto non cessa con il pianto che accompagna i singoli decessi: il lutto è la permanenza del dolore, l'eterna attualità di una perdita che si somma ad altra perdita. Chi muore scompare e prima o poi cessa anche il pianto: resta l'assenza finché ci sarà chi possa provarla e testimoniarla.


Lidia Caputo

Università di Lecce (IT)

 

 

La rappresentazione mitologica del “doppio” e del “molteplice” nei Dialoghi con Leuco' di Cesare Pavese

 

            I Dialoghi con Leucò consentono di risalire alle fonti del sistema mitico – simbolico pavesiano, dai primordi ellenici fino agli ultimi esiti della ricerca antropologica e psicanalitica.

Essi assolvono ad un'importante funzione conoscitiva, terapeutica e liberatoria dei meccanismi e delle pulsioni dell'inconscio.

            Nei Dialoghi l'Io oltrepassa i limiti della soggettività, nonché l'orizzonte dell' “hic et nunc”, per frantumarsi e rispecchiarsi, come  in un caleidoscopio, in molteplici figure mitologiche che costituiscono le sue proiezioni psichiche.

            La struttura dialogica e dialettica dell'opera consente a Pavese di vincere la staticità del discorso apodittico per cogliere la dinamica poliedricità del reale, in un processo incessante di scepsi e rivelazione dell' “homo universalis”.

            Nei Dialoghi Pavese ci appare un Odisseo contemporaneo che, intraprendendo sempre nuove avventure, scopre la varietà dei destini terreni e divini e aspira a confondersi in essi, fino a perdere la propria identità.

            L'autore penetra nella molteplicità del metafisico e spoglia le figure di divinità, come Apollo, Eros, Dioniso, Artemide, della loro aura sacrale, svelandone l'essenza demoniaca.

Nelle dolenti creature terrene perseguitate dal fato, come Edipo, Giacinto, Saffo, Coronide, Pavese raffigura, invece, gli archetipi di un'umanità moralmente superiore alla stessa divinità.

            La reduplicazione all'infinito dell'Io costituisce la chiave di lettura dei Dialoghi pavesiani, giocati sulla metamorfosi di umano/demoniaco, femminile/maschile, naturale/soprannaturale, in immagini composite che attendono il soffio della poesia per comunicarci il loro mistero.


Aneta Chmiel

Università di Slesia (PL)

 

 

Il realismo e la fantasia nel Baldus di Teofilo Folengo

 

L'obiettivo della mia ricerca è puntato sulla poesia maccheronica di Teofilo Folengo. Il Baldus di T. Folengo è il terreno letterario su cui possiamo vedere con quanta ricchezza il poeta sa mostrare il mondo pieno di contrasti. Nella sua opera maccheronica il poeta vi include molte novelle, attribuendo ai protagonisti, ai luoghi ed agli eventi le caratteristiche sia realistiche sia fiabesche.

La reazione contro le tradizioni poetiche che nasce nel poeta, concreta e molteplice diversissime idee, tra cui alcune rimangono molto originali fino all'Ottocento.
L'obiettivo del saggio ha come scopo di evidenziare la compresenza di queste due tecniche del rappresentare: il realismo e la fantasia che malgrado la loro opposizione contribuiscono con il successo alle compagine del poema di T. Folengo.

 


Giuseppe Civati/Massimo Rizzardini

Università di Milano (IT)

 

 

Renovatio mundi. Analogia, doppiezza e ciclicità fra Umanesimo e Rinascimento

 

Nella filosofia della rinascita, il tema della doppiezza costituisce uno degli elementi fondativi del rinnovamento globale dell'uomo nei suoi rapporti con se stesso, gli altri, la natura e la divinità. Il motivo del ritorno al principio, espresso nei termini della classicità come della prisca sapientia, si unisce al modello analogico di comprensione del reale e dei rapporti umani. Specchio della natura, il libro non è immune dal carattere di novitas che investe i codici della comunicazione. Nei trattati di secreti del tardo Cinquecento, la dottrina delle signaturae ispira il linguaggio scritto annullando la distanza fra il mondo dei dotti e quello dei simplices. Leonardo Fioravanti e Tomaso Bovio, che scelgono come Paracelso di ricorrere all'uso del volgare, non di rado descrivono le proprie teorie ricorrendo ad immagini doppie. Sulla falsariga delle corrispondenze universali, il linguaggio adotta le immagini del quotidiano per spiegare il funzionamento di meccanismi più complessi. Il corpo umano diviene così il doppio della cucina di casa, alla quale sono ridotte le funzioni vitali dell'organismo. La letteratura scientifica cessa in questo modo di essere destinata agli ambienti accademici, contribuendo in modo determinante alla divulgazione del sapere.

Giordano Bruno, profeta della vicissitudine e della renovatio mundi, si fa egli stesso banditore di un nuovo linguaggio che torni alla verità e alla forza vivificatrice della natura. La polemica che lo coinvolge contro la poesia dei contemporanei è solo un aspetto, per quanto decisivo, di quello spaccio dell'asinità trionfante che allontana le parole dal senso ultimo della conoscenza. Il tempo della rinascita coincide con la fine di un'epoca nella quale l'ignoranza e i vizi hanno finito con il corrompere l'esistenza umana. Ma nell'ottica di una restaurazione dell'aurea sapienza, i moderni si apprestano a diventare, per il Nolano, il doppio filosofico degli antiqui.

Anche nei testi ispirati alla tradizione magica medievale, e redatti in volgare, l'idea di una doppiezza che possa costituire il limite e la meta a un tempo della comprensione, emerge nella misura di una mutata concezione del reale. Attraverso esempi e passi scelti, la centralità di un tema così ampio verrà analizzata non senza evidenziare le innumerevoli sfumature che lo compongono. La duplicità, nel Rinascimento, non di rado ha costituito la via paradossale per il ritorno all'uno.

 


Alessandro Costanzo

Università «D'Annunzio», Chieti (IT)

 

 

I nomi parlanti in Memoriale: il simbolo al servizio dell'allegoria

 

Quello dell'allegoria è un motivo cardine della narrativa volponiana, soprattutto in riferimento a Il pianeta irritabile e Le mosche del capitale. E, per spiegarne il valore, la critica si è servita di una densa immagine di Walter Benjamin, che affermava: « Ciò che è colpito dall'intenzione allegorica rimane avulso dai nessi della vita: distrutto e conservato nello stesso tempo. L'allegoria immobilizza i sogni. E dà l'immagine dell'inquietudine irrigidita »[1]. Un'espressione, questa, che secondo i critici sintetizza alla perfezione la prosa volponiana, e più in particolare l'ultima produzione.

Ma è davvero soltanto nell'ultima fase del suo percorso narrativo, che Volponi si affida all'elemento allegorico?

Prenderemo in considerazione il primo romanzo nato dalla penna dell'autore marchigiano: Memoriale, con l'intenzione di dimostrare, innanzitutto che l'autore sceglie per i suoi protagonisti un nome parlante e in secondo luogo che, il simbolismo soggiacente a questo artificio, interviene nel discorso allegorico. Infine, arriveremo alla conclusione che si possa parlare di allegoria pure laddove la critica lo ha escluso - di fatto separando la prima produzione volponiana dall'ultima -, cioè agli esordi letterari del narratore.

Ci soffermeremo ad analizzare la natura di alcuni nomi del romanzo: quello del protagonista, Albino Saluggia, e quello del dottor Tortora (ma potremmo citarne altri: Pinna, Ratto-Ferrua, Vera, Eufemia, Pietra e altri ancora). Per esempio: Tortora è il medico industriale che diagnostica al protagonista la tubercolosi e lo costringe alla cura nel sanatorio. Volponi, dandoci la fisionomia di un tipo, non intende dotare il personaggio del medico di una psicologia approfondita, ma somatizzare in lui un genere, quello del medico industriale; con ciò vuole criticare una figura ricorrente della fabbrica, dal comportamento eticamente discutibile. Questa indagine ci conduce a stabilire che vale la pena sottolineare come già nell'esordio narrativo volponiano germinino i semi dell'allegoria.


Tatiana Crivelli

Universität Zürich (CH)

 

 

Carlo Polis e Carlo Tetis: il tema del doppio in ‘Petrolio' di Pier Paolo Pasolini

 

               Sin dalla scena iniziale, che ritrae un memorabile sdoppiamento del protagonista, il romanzo postumo di Pier Paolo Pasolini fa suo, con icastica evidenza, il tema del doppio.

                Nella mia esplorazione dei complessi appunti di cui si compone 'Petrolio' intendo mostrare come la nozione del doppio permei tutti i livelli del testo, emergendo nelle opzioni proposte per il titolo (Petrolio / Vas), nella forma stilistica mista, nella struttura stessa dell¹opera ­ che si articola sui due piani di ŒProgetto¹ e ŒMistero¹­, nei temi affrontati e, soprattutto, nella figura del protagonista Carlo Polis / Carlo Tetis.

                Attraverso l¹analisi della struttura del romanzo e tenendo conto della poetica dell¹ultimo Pasolini, così come emerge dagli scritti critici e dalle dichiarazioni dell¹autore, cercherò in particolare di definire la specificità letteraria postmoderna della nozione pasoliniana di Œdoppio¹, peraltro inscindibile da implicazioni in ambito filosofico e psicologico. 

Morana Èale

Università di Zagreb (HR)

 

 

Lo sguardo del fratello in ex-timità: Un ritratto di Pirandello

 

Figura onnipresente nella scrittura pirandelliana, il fantasma del doppio non si limita a ricorrervi semplicemente come motivo del sosia o come trasposizione di intrecci da un genere all'altro, facendosi circoscrivibile e idoneo a descrizioni o elenchi pari a quelli stesi da Jean-Michel Gardair nel suo celebre volume Pirandello e il suo doppio. In quanto la stessa poetica dell'umorismo riposa sull'idea di confronto con l'altro come doppio inverso, Pirandello traccia le linee di un'indagine multiforme sull'identità e sull'originalità del testo letterario non meno che su quelle dell'individuo finzionale, insidiati ambedue quanto dalla ripetizione coercitiva di forme altrui, tanto dal senso di sdoppiamento semiotico in un'esteriorità rappresentante e in un'interiorità non rappresentabile e forse vacua. A prescindere dall'impossibilità dei suoi biografi e interpreti critici di accertare i contatti dell'Agrigentino col pensiero psicanalitico del suo tempo, la lettura qui proposta della sua novella Un ritratto si trova quasi costretta dall'affinità delle rispettive problematiche ad avvalersi degli strumenti metodologici elaborati dal più autorevole esegeta freudiano, Jacques Lacan, atti ad affrontare in chiave concettuale i punti nodali del discorso pirandelliano: la costituzione del soggetto nel campo dell'Altro, la non coincidenza dell'occhio e dello sguardo, la fondamentale illusorietà dei rapporti intersoggettivi inscenati dal desiderio.


 

 

Lada Èale Feldman

Institut za etnologiju i folkloristiku, Zagreb (HR)

 

 

Il doppio materno: Pirandellian motherhood revisited

 

The role of the mother figures prominently in Pirandello's plays, prompting a vision of this playwright's “patriarchal attitudes” (Gunsberg), which is generally accepted by both the traditional crticism and its supposedly revisionist, feminist counterpart. Whether idealised as a typical modernist nostalgic return to the bosoms of “nature” in the appraisals of Pirandello's work or disparaged in feminist interpretations for its presumed retro-guard ideological effect, this distorted construction of Pirandellian motherhood contradicts the thesis about Pirandello's perspectivism, often foregrounded as his dramaturgical and philosophical premise.

Taking as my example the play La vita che ti diedi, in which motherhood is indeed taken as a central image of a life-giving force, I will first demonstrate what I understand to be the current interpretive misfires regarding the dramaturgical organization of the play, and then argue that motherhood is here not only incarnated in diverse “doubles” subverting the idea of its biological predestination, but also conceived as a generator of a life beyond life. Its possible “existence” is exemplified by the most cunning “proof” of Pirandello's persistent deconstruction of the culturally established opposition between life and death, entity and non-entity: the very sense of the dramaturgical presence of an absent character, the son of Donna Luna, whose death is announced at the outset of the play.

That is how this “life beyond life”, sustained by motherly love, which is repeatedly diagnosed as a lunatic state of delusion by characters surrounding Donna Luna, acquires a meta-dramatic potential, suggesting a correlation between, on the one hand, the mother's projection - stubbornly refusing to acknowledge both the realm of biology and the realm of the “eternal life” ensured by faith – and, on the other, the playwright's imagination itself, creating a life beyond “the life of the busy dead men”. In contrast to the idea of Pirandello's reliance on patriarchal attitudes, this interpretation sees the playwright's conception of art as something stemming from what Lacan would later call the realm of “the imaginary”, which springs from the mother-child mirroring, with a slight Pirandellian difference: the accent on the mother's, not the child's perspective.

 


Anadea Èupic

Università di Zagreb (HR)

 

 

La  Nave   di   D'Annunzio:  un connubio tra  sacro  e  profano

 

L'articolo tratta la dimensione del sacro e del profano nella tragedia La Nave di Gabriele D'Annunzio. Avvicinandosi man mano, questi due estremi formano uno strano connubio unendosi in un punto d'ntersezione per dare un'immagine complessa del Vate come uomo e letterato. La Nave si rivela un'opera complessa sia per l'impegno politico con cui l'autore ha cercato di glorificare il regime dell'epoca in cui viveva, sia per il circolo vizioso che il Poeta ci ripropone attraverso gli elementi a cui spesso prestava la sua attenzione nelle sue tragedie: passione, fatalità, delitto, redenzione. Questa volta la protagonista del concetto del «superomismo» è la femmina fatale che racchiude in sé il retaggio della paganità, ma che alla fine dovrà fare i conti con il destino che la vorrà come capro espiatorio per soddisfare la giustizia attraverso il sacrificio. 

 


Katarina Èurkoviæ

Università di Zadar (HR)

 

 

The English elements in Italian language

 

 


Ingrid Damiani Einwalter

Università di Zagreb (HR)

 
 

Il doppio uso dell'espressione idiomatica nel linguaggio de I Malavoglia di G. Verga

 

In questo articolo ci proproniamo di prendere in analisi le espressioni idiomatiche nel linguaggio e nei passi descrittivi della prosa verghiana. Miti antichi, credenze religiose, rituali sacri e profani, superstizioni  e tradizioni si intrecciano in un vivace e e plastico linguaggio popolare ricco di idiomi. Le frasi idiomatiche ivi presenti, appartengono ad un'epoca e ad uno sviluppo sociale alquanto differente dall'epoca moderna. Cercheremo di dare una risposta alle domade: Quali di questi idiomi si sono conservati fino ai giorni nostri? Quali invece sono da ritenersi obsoleti e incomprensibili senza un'ulteriore immersione nei valori storico-culturali dell'epoca?


Vesna Deželjin

Università di Zagreb (HR)

 
 

Intorno alla prima traduzione italiana

del capolavoro di Marin Držic (Marino Darsa)

 

      Tanti illustri studiosi letterari concordano sulla grandezza del raguseo Marin Držic, vale a dire sull'originalità  dello scirttore nel teatro europeo del Cinquecento. Uno dei principali motivi a cui si deve tale giudizio è l'ambiguità  del linguaggio del Darsa e il senso allusivo delle sue commedie, in particolare della sua più nota commedia intitolata Dundo Maroje (Lo zio Maroje).

      In quest'occasione ci proponiamo di presentare la prima traduzione in italiano di questo capolavoro di Držic, col particolare riferimento alla lingua della traduzione curata da Liliana Missoni. Il testo originale è polivalente, con duplice funzione espressiva: quella di divertire il pubblico e quellla di far passare impunita un'aspra critica indirizzata contro i governatori ragusei. 

Jolanta Dygul

Università di Varsavia (PL)

 

 

Centro del labirinto: ritrovare se stesso nello specchio ("Contesto" di Sciascia)

 

               Analisi del percorso labirintico dell'ispettore Rogas, il protagonista del "Contesto" di Sciascia. Nel seguire le tracce dell'assassino dei giudici, Rogas compie il processo di immedesimazione con l'assassino per combattere l'ingiustizia del potere.


Bruno Ferraro

Department of Italian, University of Auckland (New Zeland)

 

 

Alla ricerca di doppi e altri sé in alcuni testi di Antonio Tabucchi

 

Al centro del dramma umano dei personaggi di Antonio Tabucchi sta la diversità e la duplicità, tema che gli è stato ispirato, fra l'altro, dall'esperienza del ritratto fotografico, dalle filosofie della soggettività e anche da esempi letterari che gli sono assai familiari: la poesia di Pessoa (con i suoi alter ego), la tradizione fantastica, la narrazione dei sogni.[2]

Nel racconto “Il gioco del rovescio” (che dà il titolo alla raccolta eponima) e nei testi di Notturno indiano, Il filo dell'orizzonte e Requiem si vuole evidenziare, oltre agli esempi letterari menzionati da Ceserani, anche i topoi del viaggio e della quête che sottendono il dramma umano e la frammentarietà psicologica di tanti personaggi che popolano i testi di Tabucchi. In ordine cronologico si vuole partire da Lettera da Casablanca in cui il tema della diversità è presente in varie forme: lo straniamento esperito dall'io narrante in quanto trapiantato dalla sua natia Toscana in una cittadina argentina, l'altro che vive nell'io narrante e fuoriesce nel paese d'adozione, il senso di duplicità sotteso dall'acquisizione di un'altra lingua, la trasformazione finale che avrà luogo dopo un ennesimo spostamento geografico; il viaggio e i ricordi – oltre che le musica, la fotografia e il paesaggio – costituiscono un nucleo ben amalgamato (dal punto di vista letterario) che mette in evidenza la duplicità e la frammentarietà dell'essere.

Tale duplicità e frammentarietà viene ulteriormente analizzata nei seguenti due testi: Esperidi. Sogno in forma di lettera (in Donna di Porto Pim) e Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa. Con il primo racconto si evince la funzione del sogno nel racconto: di permettere all'io narrante la visione-interpretazione di verità e divinità che possono essere trasmesse solo attraverso il sogno; l'autore, in altre parole, ha nascosto nel sogno dell'io narrante gli artifizi della fiction e ha guidato il lettore in zone che, altrimenti, non avrebbe potuto visitare. Con il secondo testo ci si vuole soffermare sull'omaggio che Tabucchi fa a Pessoa e all'eteronimia, oltre che sul tema della letteratura come finzione, presente anche nei saggi che Tabucchi dedica allo scrittore portoghese; l'omaggio al Portogallo – che fa da sfondo a vari testi – troverà la sua massima espressione in Requiem dove il tema del doppelgänger viene investito di una carica metafisica e fantastica.


Ombretta Frau

Mt. Holyoke College (H)

 

 

Penna, casa e calamaio: autrici di galatei ottocenteschi fra conformismo e indipendenza

 

In Italia l'ultimo squarcio del XIX secolo è testimone dell'ascesa di un nutrito numero di scrittrici. Si tratta di donne che cercano di conquistarsi una loro indipendenza scrivendo e tentando di inserirsi in un mondo, quello letterario, di dominio quasi esclusivamente maschile. I generi in cui queste scrittrici vengono ben presto a distinguersi sono relativi alla sfera della letteratura cosidetta popolare, del romanzo rosa, della rivista “al femminile” e della rubrica giornalistica. Va tuttavia notato che, accanto alle celebri  Serao, Negri, Aleramo e Deledda, vi sono legioni di autrici che, seppure non ricordate dalle più importanti storie letterarie, hanno contribuito notevolmente, con le loro collaborazioni a periodi e quotidiani dell'epoca, a costruire l'universo letterario femminile italiano.

Il contrasto, a volte stridente, fra il modello di virtù domestica a cui alcune di queste scrittrici erano state destinate e la loro carriera letteraria emerge in tutta la sua contraddittorietà in un genere in particolare, quello del manuale di comportamento. La Marchesa Colombi, Jolanda, Mantea e perfino Matilde Serao furono autrici di galatei di grande successo ma, sebbene alfiere della loro indipendenza intellettuale e professionale, nei loro manuali queste scrittrici propongono una donna il cui ruolo ideale difficilmente oltrepassa i confini della propria casa e della propria famiglia.

Il mio intervento si concentrerà sul contrasto fra il modello ideale di vita borghese proposto nelle pagine dei galatei di Mantea, Marchesa Colombi e Jolanda, che vede la giovane moglie interamente votata al marito e alla famiglia, e la condotta professionale delle stesse autrici. Figlie della nuova borghesia o della vecchia aristocrazia italiana, mogli separate dal marito, madri non eccessivamente vicine ai propri figli, armate di talento e di ambizione, non sembrano in grado, tuttavia, di proporre un modello di vita che si discosti da quello tradizionalmente conformista dei loro volumetti. Alla luce di queste considerazioni preliminari appare in tutta la sua ambiguità il duplice messaggio trasmesso da queste scrittrici costrette dalle convenzioni a trascorre la loro esistenza intellettuale secondo un doppio e inconciliabile codice di comportamento.


Sandra Garbarino 

Università di Nizza (FR)

 
 

Calvino e il doppio: l'ordine della coppia contrapposto al caos del molteplice. Lingua, stile e contenuti

 

               La comunicazione che vi propongo verte sull'osservazione della tematica del doppio nella lingua e nei contenuti di alcune opere di Italo Calvino poiché lavoro su questo scrittore per il dottorato di ricerca che sto portando a termine. In particolare, la mia ricerca verte sulle traduzioni francesi delle opere di Calvino in Francia.

Marco Gargiulo

Università per Stranieri di Siena / Università di Cagliari (IT)

 

 

Quotidianità e letterarietà della lingua secondo Leonardo Salviati

 

Negli Avvertimenti della lingua sopra'l Decamerone, Leonardo Salviati illustra, andando ben oltre le concezioni presentate nella giovanile orazione in lode della lingua fiorentina del 1564[3], le considerazioni scaturite dall'analisi, operata durante i lavori per la Rassettatura, della lingua del Boccaccio. Da tali considerazioni e riflessioni egli estrapola le proprie teorie linguistiche e delinea le regole della lingua fiorentina, situandosi al centro del dibattito linguistico cinquecentesco e ponendosi come momento nodale in cui confluiscono le riflessioni e le opinioni sulla lingua sviluppatesi nel corso del secolo, da Pietro Bembo a Benedetto Varchi soprattutto.

In questa sede vorremmo analizzare il rapporto in cui il nostro pone il fiorentino vivo e il fiorentino trecentesco, l'attualità e il passato, la quotidianità e la letterarietà, lo scritto e il parlato. Lo scopo è inoltre quello di verificare il peso di tali valori in un trattato in cui le posizioni appaiono spesso contraddittorie e ambigue.


Giuseppina Giacomazzi

socia dell'A.I.S.L.L.I, prov. di Roma (IT)

 

 

Il gioco ambiguo dell'esistenza nelle "Maschere" Tommaso Landolfi

 

La crisi delle certezze e della possibilità di offrire un significato alla vita e la destabilizzazione dell'io caratterizzano il ‘900. Il mondo è visto in modo ambiguo e nebuloso e all'interno di esso l'io si destruttura in una molteplicità di io spesso in conflitto e in un complesso gioco d'immagini. Anche la narrazione si spezza e dichiara la sua impossibilità.

L'opera di Landolfi ,soprattutto nell'ultimo periodo, è caratterizzata  da una progressiva decomposizione dell'esercizio letterario che approda all'autobiografismo e al frammento.  In questa fase della sua scrittura Landolfi narra se stesso e il suo tempo superando l'intreccio e giocando al mettersi e togliersi infinite maschere, proprio come nella vita, quando dopo le sconfitte al  tavolo del casinò, spariva improvvisamente, rivelando la volontà di celarsi e di nascondere la sua ricca e poliedrica umanità.

La comunicazione vuole esaminare questo gioco del “mascheramento” dell'io in alcuni personaggi protagonisti, alter-ego-doppi, nei quali la trasposizione  si fa gioco ironico e tragico: Ottavio di Saint-Vincent, abile giocatore di casinò, filosofo della “vanitas”, Landolfo VI di Benevento, “uomo senza qualità”, destinato alla sconfitta e alla perdita, Cagliostro, dominato dal gioco del doppio e della maschera, Nessuno- Faust 67, impossibilitato a dare un volto a qualsiasi verità e felicità umana.


Anastasija Gjurcinova

Università di Skopje (MK)

 

 

La traduzione come doppio. Orlando furioso tradotto da Grigor Prlicev

 

            Ogni traduzione contiene dentro di se', nella sua essenza, il concetto del doppio. I due testi, quello di partenza e quello di arrivo, contrapposti uno rispetto all'altro, offrono immense possibilita' di riflessione sull'argomento del doppio e della doppiezza in genere. Il testo tradotto non va visto semplicemente come una variante del testo di partenza, trasformato e capovolto nello specchio di un'altra lingua; il testo tradotto ha ben altre caratteristiche, che lo distinguono, lo fanno diverso, nuovo, fino al punto di essere considerato come un testo altro.  

            Sull'esempio della traduzione di Prlicev dal titolo “Le risate dell'Ariosto” cerchiamo di esaminare l'alterita' e le caratteristiche del doppio, confrontando questo testo del secondo Ottocento macedone con Orlando Furioso, il maggior poema cavalleresco del Rinascimento italiano. Va subito messa in evidenza l'importanza che il nostro traduttore ha prestato alla comicita' e all'ironia del poema ariostesco, cambiando in tale senso pure il titolo dell'opera tradotta.

            L'analisi e' basata sulle tesi dei famosi teorici della traduzione (Nida, Steiner, Bassnett), e soprattutto Walter Benjamin e il suo Compito del traduttore. Poi, seguendo le classificazioni di George Mounin ed altri studiosi autorevoli, si sceglie per le Risate di usare il tipo di traduzione chiamato adattamento, che dal testo di partenza conserva alcuni elementi (i personaggi, la trama, l'intreccio ecc.), ma si distingue da quello per il titolo, per la lunghezza, per la riduzione in forma narrativa e soprattutto per il trattamento del poema ariostesco dal punto di vista comico e ironico. Traducendo il testo dell'Orlando Furioso, Prlicev ha realizzato una tale trasformazione, creando alla fine un'opera tutta sua, costruita secondo le norme e le esigenze del suo contesto letterario, nonche' delle sue proprie concezioni della traduzione in genere.  


Suzana Glavaš

Università di Zagreb (HR)

 

 

L'enigma dell'io di Umberto Bellintani

 

L'intervento si propone di esaminare, con metodo di analisi psicocritica, un componimento del poeta mantovano (1914-1999) in cui si manifesta lo sdoppiamento dell'Io in base al rapporto estrovertito coll'oggetto (mondo esterno, principio divoratore) e quello introvertito col soggetto (mondo interno, principio conservatore).  Si mostrerà come di fronte alle tendenze disintegratrici che tengono l'Io della coscienza egoica ‘vincolato all'oggetto' fa da cotrappunto il profondo psichico uroborico di simbolismo metabolico, autoconfiguratosi nella figura del rotondo che avvolge la vita nella sua totalità corporea e psichica. Vi si rinviene il ‘doppio' del poeta, il suo Sé, e, a sua volta, nel personale il ‘doppio' del transpersonale, già prefigurato nella storia primitiva dell'umanità.

 

Iva Grgiæ

Università di Zagreb (HR)

 

 

Un manifesto e il suo doppio:
la donna futurista tra F.T. Marinetti e Valentine de Saint-Point

 

Nel 1912 (dunque nel pieno periodo "eroico" del futurismo), una scrittrice e pittrice francese, Valentine de Saint-Point, pubblica il Manifesto della donna futurista in cui risponde al primo manifesto marinettiano, e soprattutto al concetto del "disprezzo della donna" ivi professato e dal leader abbracciato come correlativo di quell'"antipassatismo" che caratterizza tutto il movimento. Il contributo si propone di esaminare quanto la risposta "femminile", nella sua apparente opposizione al testo anteriore, abbia in realta funzionato come un suo "doppio" che, irrompendo nel suo monopolio autoreferenziale, lo rende completo nel momento stesso in cui pare di contestarlo.


Monika Gurgul

Università Jagellonica, Cracovia (PL)

 

 

La dinamica del doppio nella drammaturgia di F. T. Marinetti

 

Il doppio costituisce uno degli elementi fondamentali del discorso drammatico marinettiano, diventando espressione della paura modernista di fronte al sesso opposto, e del dubbio nato dalla tanto amata “moltiplicata” realtà postbergsoniana. Marinetti cerca di superare questo timore puntando sulla necessità di riorganizzare l'esistenza umana in base all'Idea, il cui obbiettivo sarebbe un'ascesa spirituale, e, alla fine, il raggiungimento dell'unità androgina del primo uomo. Però l'incertezza di fronte a tale compito riaffiora continuamente rispecchiata da:

a) il doppio dell'immagine femminile racchiusa tra misoginia dell'epoca e mito androgino postromantico (Dramma senza titolo, Roi Bombance, Ricostruzione...);

b) il doppio in quanto proiezione del presentimento concernente l'impossibilità di tale reintegrazione, rafforzato dal doppio intertestuale (Poupées électiques, Bianca e Rosso);

c) il “doppio possibile” in cui l'individuo si scopre in una nuova dimensione sospesa tra esistenze-varianti abbandonate e quella scelta e “effettuata”, dimensione rafforzata dai concetti di simultaneità e di compenetrazione di ambienti, introdotti dal teatro sintetico (Il teatrino dell'amore, Simultaneità, Paralleli, Simultanina, Locomotive).

 


Raffaele Aragona

Universita di Napoli (IT)  

Una voce poco fa: omonimia e polisemia

  I confini tra l'omonimia e la polisemia non sono ben definiti. L'intervento parte dalla distinzione originaria di Otto Duchachek (1962), accenna alle considerazioni critiche sui due fenomeni formulate da John Lyons (1971) e infine, ampliando alcune riflessioni in proposito di Patrizia Violi (1977), svolge una loro rivalutazione, esaminando le occasioni in cui l'omonimia e la polisemia assumono un ruolo fondamentale ed insostituibile.


Snježana Husiæ

Università di Zagreb (HR)

 

 

Il doppio trasumano: i mostri e gli animali di Alberto Savinio

 

Figure di mostri e di esseri ibridi – tra uomo e animale o, più di rado, tra uomo e vegetale – sono motivi frequenti soprattutto nell'opus pittorico di Alberto Savinio, e di conseguenza la critica se n'è occupata finora principalmente in relazione alla produzione artistica saviniana, riferendosi solo sporadicamente ai testi letterari dell'Autore. Con questo contributo si intende invece spostare l'interesse sulla presenza di tali figure nella produzione letteraria di Savinio ed esaminare la loro posizione all'interno della poetica complessiva dell'Autore nonché la loro funzione nella creazione dello specifico fantastico saviniano.

La ricerca verterà su due punti principali: da una parte sul significato metafisico e psicologico che Savinio attribuisce alle figure di mostri e animali, all'interno del quale esse si costituiscono appunto come doppio (tras)umano, e dall'altra parte sulla reinvenzione saviniana del termine “cristiano” attraverso  l'inclusione di tutto l'esistente – organico e inorganico – in un universo concepito al di là delle usuali concezioni antropocentriche. Il fantastico che scaturisce dalla presenza di mostri e di altre figure ibride nei testi narrativi di Savinio è spesso un fantastico “denunciato”, in quanto contrassegnato esplicitamente, da parte del narratore, come l'Altro o il Doppio (tras)umano.


Alessandro Iovinelli

Istituto Italiano di Cultura– Zagreb (I-HR)

 

 

Copie, pastiche e parodie nella letteratura italiana contemporanea: la "peggio gioventù"

 

A partire dagli anni Novanta si è affermata una nuova generazione di scrittori italiani. L'intervento intende mettere a fuoco i caratteri precipui del tipo di scrittura che si è andata affermando con loro. In particolare, l'analisi testuale ed intertestuale servirà a verificare come siano cambiati i parametri estetici, i riferimenti culturali e gli orizzonti letterari.

Rispetto alla narrativa del secondo Novecento (Calvino, Pasolini, Sciascia) o del postmoderno (Eco, Tabucchi, Del Giudice), i "giovani" autori dimostrano una diversa collocazione culturale (più prossima ad altri linguaggi: il fumetto, i cartoni animati, la canzone, ecc.) e un'attitudine all'epigonalità (riscrittura,Trivialliterature, ecc.) che li colloca oggettivamente sul terreno della copia, della parodia (e dell'autoparodia), del pastiche (più intersemiotico che interlinguistico), se non del vero e proprio trash.


Elzbieta Jamrozik

Università di Varsavia (PL)

 

 

Il doppio nella sintassi del collegamento frasale in italiano

 


Joanna Janusz

Università di Slesia (PL)

 

 

La sfida al reale. Mimesi nei romanzi di Carlo Emilio Gadda

 

            Il Novecento è indubbiamente, sul piano della riflessione umanistica, il secolo della messa in discussione della “coscienza forte” intesa in senso cartesiano. Siamo ben lungi ormai dal pensare l'individuo come l'unità autosufficiente ed autonoma. L'uomo si rivela piuttosto come una struttura plurima, e si vede confrontato non solo con lo sdoppiamento inevitabile del proprio “io” (il famoso “‹je› un autre” di Rimbaud), ma anche con la presenza dell'altro, di un “tu”, questo è lo scontro che rende possibile qualsiasi autodefinizione o scoperta dell'”io”.

            Oltre che la centralità dell'io, la negazione novecentesca dell'unico e definibile riguarda anche la realtà intera. Pure essa non è più unica, oggettiva e riproducibile secondo canoni o regole prestabilite ma  si rivela molteplice e plurima, disseminandosi e mascherandosi per sfuggire continuamente alla percezione.

            Il movimento perenne, l'inarrestabile costituirsi come altro, diverso, nuovo, doppio, sembra essere la caratteristica peculiare del mondo nella narrativa di Carlo Emilio Gadda. Partendo dalla riflessione gaddiana sulla pluralità delle cause formatrici del reale e dell'individuo si vogliono esaminare le modalità della costruzione del mondo, umano e materiale (ritratti, paesaggi, elementi vegetali ed animali) nei romanzi gaddiani (Meccanica, Cognizione…, Quer pasticciaccio…). Cercheremo di tracciare il percome e il perché della sfida che Gadda lancia alla realtà nemica, decomponendola in minimi particolari, per vendicarsi, dominarla, o al contrario, ritrovare il senso dell'unità all'interno del caos. 


Ivana Jerolimov

Università di Zagreb (HR)

 

 

Il doppio tra la sintassi, la pragmatica e la sociolinguistica:

 il caso dei temi liberi e le dislocazioni a sinistra

 

Dal punto di vista della grammatica funzionale, il presente lavoro si propone di esaminare alcuni aspetti delle più note fra le strutture segmentate e tematizzanti: le dislocazioni a sinistra e i temi liberi. Basandosi su un corpus dell'italiano contemporaneo conversazionale, si cercherà di mettere in evidenza alcune particolarità strutturali e pragmatiche che, anche se in superficie molto analoghi, i temi liberi presentano rispetto alle dislocazioni a sinistra.

            Per quanto riguarda l'analisi sociolinguistica, cercheremo di mostrare che i temi liberi sono più marcati in diamesia e in diafasia, ma non necessariamente in diastratia.


Tatjana Jukiæ-Greguriæ

Università di Zagreb

 

'My name is Might-have-been': A Reproduction of Dante in Dante Rossetti

 

 

Most recent studies of Dante Gabriel Rossetti construct the figure of Rossetti either as a figure of Italianicity (to borrow a term coined by Roland Barthes) – a figure of narcissism, sensuality, pro-Catholicism and madness inhabiting the margins of Victorian culture, or as a figure of textual anxiety within a more general pathology of symbolic production. This either-or mapping of Rossetti, however, blocks a reading of his hyperactive production of selves and symbols as an operation of the boundary as such, which stages yet delimits a dialogue of cultures and identities. My presentation focuses on Rossetti's sonnets involving his namesake, Dante Alighieri, in an attempt to unblock this interpretive paralysis and pave the way to a more comprehensive reading of his work.

 


Dajana Jurkin

Università di Zadar (HR)

 

 

Leggende e costumi zaratini nella poesia di Giuseppe Sabalich

 

Partecipando alla fondazione di varie riviste letterarie e scientifiche, Giuseppe Sabalich (1856-1928), eminente storico e letterato zaratino, diede un contributo enorme alla vita culturale di Zara verso la fine dell'800 e l'inizio del '900.

Già nelle sue prime opere, si manifesta l'inclinazione  del poeta per gli studi storici e la sua futura attività sarà indirizzata alle ricerche storiche, dove il posto principale occupa Zara. Il frutto di questa sua attività persistente sono numerosi scritti pubblicati in varie riviste come in Dalmazia così anche in Italia. In quasi tutte le opere di G. Sbalich si nota la sua erudizione e le sue conoscenze della storia. La storia è specialmente presente nella raccolta di poesie «Le campane zaratine» dove Sabalich spesso presenta i particolareggiati dati storici legati al glorioso passato della città.

            In questo intervento sarà esaminato il modo in cui Sabalich incorpora la materia storica nelle sue poesie, trattando ed elaborando le leggende legate alla sua città.

 


Monika Karcz-Napieraj

Università di Stettino-Varsavia (PL)

 

 

Carlo Dossi – Rémy de Gourmont

 

Un'analisi approfondita dei contenuti, tra le opere di Dossi e di de Gourmont oltre ad offrire un aspetto importante legato alla problematica dell'artista, fa risaltare in modo impressionante la presenza di un ulteriore elemento comune vale a dire l'imagine del doppio che permette di unificare cio‘ che a prima analisi appare diviso. L'imagine del doppio è rintracciabile con costante frequenza nelle opere dei due scrittori decadenti. Il doppio psichico ed affettivo nelle figure dei protagonisti pregno di tutta una serie di rappresentazioni simboliche sottolinano e reinterpretano la problematica dell'artista nella ricerca estetica dei due scrittori. Una ricerca che si fonda sulla centralità e sull'essenza della scrittura. I due alterego vivono lo stesso desiderio, la stessa necessità di dover scrivere.

Un viaggio il loro che si svolge a ritroso nel tempo, alla ricerca di quegli elementi che possono spiegare le ragioni della nascita di tale desiderio- necessità. Entrambi i protagonisti nell'impossibilità di risalire all'origine del desiderio sembrano alla fine giungere dopo aver percorso vie diverse alla medesima conclusione, quella cioè di scivere sul loro desiderio di scrivere.


Aleksandra Kosz

Università di Slesia a Katowice (PL)

 

 

Tra pensare e il fare c'è di mezzo il parlare. Duplicità o triplicità dell'atto linguistico?

 

La nostra presentazione si concentrerà sulle nozioni di base della pragmatica,
e in particolare sul concetto di atto linguistico. Cercheremo di dimostrare e di spiegare
le relazioni tra:

-                      pensiero e parola

-                      parola e azione

-                      pensiero e azione.

Siccome vi sono distinti tre concetti: pensiero (pensare), azione (fare) e parola (parlare), esamineremo la struttura della lingua, discuteremo il segno linguistico (lessema) grazie al quale il concetto mentale (pensiero) assume una forma fisica. A questo punto per analizzare il rapporto tra pensiero e parola possiamo riferirci agli inizi della linguistica moderna e alle idee del suo fondatore F. de Saussure, dove  si può osservare la duplicità della lingua. Ricorderemo dunque i concetti di langue e parole, di  segno linguistico in quanto il significato e il significante e parleremo anche dei rapporti tra di loro.  Il rapporto seguente si riferisce alla pragmatica e più precisamente all'atto linguistico e sarà la risposta al titolo dell'opera di J.L. Austin – Come fare cose con le parole. Sarebbe un'analisi di come parlando, dicendo una cosa, facciamo agire gli altri. Spiegheremo la capacità o la possibilità di capire certe parole, espressioni o frasi con un senso diverso da quello letterale, (p.e. una domanda che in realtà non la è). Proveremo di caratterizzare il concetto di atto linguistico, che cosa è, come funziona e perché conviene parlarne a proposito dello studio linguistico. L'ultimo punto – il rapporto tra pensiero e azione, sarà infatti il passaggio attraverso tutti e tre concetti: dal pensiero, tramite la lingua, verso l'azione; quindi ci sarà il paragone tra quello che pensiamo, quello che diciamo e infine quello che facciamo (o facciamo fare altre persone). Questa parte della presentazione dovrà rispondere alla domanda nel sottotitolo:  duplicità o triplicità dell'atto linguistico?

La conclusione dimostrerà che nella lingua esistono tante relazioni, tanti rapporti e legami non solo della duplicità, ma anche quelli più complessi che coinvolgono più abilità, e/o attività umane.

 


Bruno Kragiæ

Leksikografski zavodMiroslav Krleža” (HR)

 

 

Strutture doppie nel film Gruppo di famiglia in un interno di Luchino Visconti

 

Il saggio analizza il raddoppiamento dei motivi, delle situazioni e dei livelli spaziali e temporali nel film summenzionato, cercando di ambientarli riguardo ad altri film di Visconti.


Katarzyna Kwapisz-Osadnik

Università di Slesia (PL)

 

 

Il doppio nell'uso dei modi. L'indicativo e il congiuntivo negli stessi contesti linguistici

 

            Un problema molto interessante ma anche difficile da trattare, visto il numero dei fenomeni che similmente devono essere presi in considerazione, è l'uso dei modi nella lingua italiana. Soprattutto si tratta dei contesti in cui possono apparire diversi modi. Nel nostro intervento tenteremo di presentare ed analizzare tutti i contesti che ammettono il modo indicativo ed il congiuntivo per spiegarne il ruolo in rapporto al pensiero del locutore che vuole esprimere se stesso per il tramite delle categorie linguistiche scelte nella costruzione dell'enunciato. L'uso dei due modi negli stessi contesti linguistici sarebbe l'indice linguistico della doppia natura umana che esita fra l'affermazione ed il distanziamento da ciò che è detto.

            Con le nozioni elaborate dalla linguistica cognitiva, come per esempio prototipo, invariante semantica o schema, e con la sua metodologia che si basa sul rapporto tra semantica, cognizione e grammatica, proporremo modelli semantico-cognitivi dei due modi con cui si manifestano tutti i valori e tutti gli usi ed in primo luogo quelli prototipici e che permetteranno di capire la natura ed il loro funzionamento nella lingua italiana. Senza ignorare il luogo dell'enunciazione ed il locutore stesso, la scelta di uno dei due modi nell'enunciato è il risultato emergente dal trattamento dell'informazione svolto nel cervello del locutore: l'indicativo sarebbe il segno dell'affermazione del contenuto proposizionale, invece il congiuntivo marcherebbe l'attitudine distante rispetto a ciò che è detto.


Simon Lambert

Università di Trieste (IT)

 

 

Sdoppiamento dello scrittore di avanguardia

 

               Sdoppiamento dello scrittore di avanguardia, fra la tendenza alla scrittura letteraria, intesa come "naturale" produzione artistica, e il consapevole rifiuto di questa spontanea posizione organica, per ragioni etiche e politiche. Questa problematica verrà esaminata in paragone, sia nell'ambito italiano (ad es. l'influenza del pensiero comunista in Vittorini, che rifiuta di pubblicare il suo "arcaico" ultimo romanzo "Le città del mondo"), che in quello in lingua francese, specialmente in ambito surrealista, nella figura del franco-belga Paul Nougé, autore di poche poesie sempre di uno straordinario lirismo, ma soprattutto di antipoetici "oggetti sconvolgenti" che intendono trasformare direttamente la coscienza del lettore-spettatore. Dalla giocosa distanza "speculare", alla schizofrenia vera e propria, tale sdoppiamento è caratteristico della condizione paradossale dello scrittore moderno, che implica un elevato grado di coscienza e impedisce ormai ogni innocenza estetica.

Inge Lanslots

Università di Antwerpen (B)

 

 

Evil Live, uno dei sei racconti che compongono l'ultimo volume di Daniele Del Giudice, Mania (1997), si presenta come la descrizione di un duello masochistico tra due donne. Però, invece di svolgersi a livello del mondo reale (o meglio: verosimile), il duello si svolge, si sviluppa nell'ambito di una corrispondenza elettronica tra due messaggeri – che si presume essere donne – e durerà finché uno smette di scrivere facendo morire il proprio personaggio. Al lettore la fine della storia a quattro mani sembra inoltre coincidere con la morte di uno dei messaggeri-autori, per cui il racconto – la scrittura più idonea di Del Giudice è sempre più quella della forma breve – diventa quindi una sperimentazione diretta del Male, della lotta corpo a corpo. Riassumendo ancora, Del Giudice impiega la comunicazione elettronica come « un'immagine generatrice della narrazione e un suo significato metaforico » (cf. http://www.tinet.ch/decarli/testi/stampa3.htm; 26/10/2001).

Alla luce di tale lettura si propone di prendere in esame la narrativa italiana degli ultimi cinque anni, che sulla scia di altre letterature, ed in particolare, quella anglofona (Astro Teller, Exegesis, 1998 ; Jeanette Winterson, The Powerbook, 2000) ; …), introduce la corrispondenza elettronica nella narrativa. Corrispondenza che, come si sa, si è creata, si è appropriata un linguaggio proprio, molto meno curato di quello degli scambi epistolari tradizionali, letterarie o meno.

Avendo delimitato il corpus letterario (di cui citiamo, a mo' illustrativo, qualche titolo : Del Giudice, Mania, 1997 ; Caterina Bonvicini, Penelope per gioco, 2000; Matteo Galiazzo & Marcello Vicchio, Se un giorno una e-mail, 2000; Giorgio Pressburger, Di vento e di fuoco, 2000), verranno verificati:

-                      l'impatto stilistico del ‘linguaggio elettronico' su quello dei testi narrativi ;

-                      la funzione letteraria del recupero dell'epistolario elettronico che va dal discorso amoroso, sentimentale al discorso di un percorso conoscitivo, epistemologico(-giallistico) e/o esistenziale.

Il presente contributo si accinge quindi ad prendere in esame un fenomeno strettamente legato all'era della comunicazione tecnologica in cui viviamo ed il quale forgia la lingua e la letteratura italiana ricorrendo pure ai modelli stranieri e classici.


Željka Liliæ

Università di Zadar (HR)

 

 

Lo sfruttamento doppio nei testi pubblicitari

 

Gli innumerevoli slogan pubblicitari sono costruiti sul doppio valore delle parole e delle immagini. La presenza di termini o di costrutti grammaticali che si possono interpretare in modi diversi e contrastanti rappresenta uno dei principali metodi di creazione dei messaggi pubblicitari.

In questo contributo saranno analizzati alcuni messaggi pubblicitari che sfruttano le risorse linguistiche usando, volutamente, tutti i fenomeni dovuti alla proprietà della lingua di essere un codice che pone corrispondenze plurivoche fra piano di significato e piano del significante.


Ute Limacher-Riebold

Università di Zürich (CH)

 

 

Dalla Cronica di Giovanni Villani al Novello sermintese lagrimando di Antonio Pucci

 

Nel quadro del nostro studio sull'opera complessiva di Antonio Pucci, i suoi serventesi di carattere storico-politico meritano un'attenzione particolare. Il suo serventese Novello sermintese lagrimando, sull'inondazione dell'Arno del 1333, presenta considerevoli intertestualità con il Centiloquio pucciano, il quale, a sua volta, è una riduzione in versi della Cronica di Giovanni Villani. Il passaggio dalla forma in prosa a quella in versi comporta un adattamento notevole di un testo, soprattutto quando lo si sottopone ad una costrizione strofica come nell'esempio citato del serventese. Nella nostra analisi metteremo l'accento sullo studio del lessico, particolarmente interessante in questo specifico caso, nonché sui vari meccanismi che comportano una trasposizione in versi ed una traduzione in un linguaggio popolareggiante. Nell'intento di mantenere il carattere storiografico della sua fonte, il Pucci ha conferito al suo serventese una netta impronta cronachistica, quasi giornalistica nel senso moderno del termine.


Judith Lindenberg

Università di Paris III (FR)

 

 

L'uso della ripetizione lessicale come traduzione ritmica in alcuni poeti - traduttori italiani del Novecento

 La traduzione è, per essenza, ripetizione di un testo in un'altra lingua.All'interno di essa, nel “microtesto”, la figura della ripetizione spicca a tutti i livelli come un fatto costante, e appare come un modo di palliare alle perdite inevitabili nel passaggio di una lingua all'altra : tra quelle, la ripetizione lessicale, cioè il raddoppiamento di una parola presente solo una volta nel testo originale.Ci proponiamo di osservare questo fenomeno nell'ambito della traduzione poetica italiana, e più precisamente nell'opera di traduzione svolta dai poeti italiani del Novecento a partire dal francese. Questa attività, diffusa al punto di apparire come un fatto di scambio culturale ormai riconosciuto storicamente, ci consente di osservare il fenomeno della ripetizione lessicale fuori di ogni considerazione di casualità o di trascuratezza, stando nel campo della traduzione poetica, in cui la restituzione ingloba tutti i livelli della lingua, e svolta da traduttori essi stessi poeti, cioè altamente consapevoli delle implicazioni di tale lavoro. La presenza costante delle ripetizioni lessicali in questo campo, lungi dall'essere il segno di una debolezza della traduzione, appare invece come uno strumento indirizzato a recuperare le perdite svolte ad altri livelli, in particolare ritmico. In effetti, la duplicazione della parola è un modo per giocare sul ritmo nella catena del verso e riavvicinarsi al ritmo originale, senza influire sul livello semantico, se non nel senso di un'insistenza. Quest'uso della parola in tutte le sue implicazioni,semantiche e formali, proprio della poesia, conferisce alla ripetizione lessicale nella traduzione una funzione ambigua: ciò che appare a livello lessicale come raddoppiamento può essere visto come recupero della forma primaria del testo, e quindi maggiore “fedeltà” all'originale. Tale fenomeno permette di ripensare lo statuto del doppio lessicale nella traduzione, non solo ripetizione dell'identico ma strumento di restituzione del senso, in tutte le sue valenze. Concentreremo questo studio su un corpus ristretto, includendo alcune traduzioni di Giorgio Caproni, Vittorio Sereni e Mario Luzi a partire della poesia francese del Novecento. L'apertura a diversi poeti permette di uscire dalla problematica di riscontro personale tra il traduttore e il poeta tradotto, pur rimanendo in un asse linguistico e storico-letterario circoscritto.


Marinella Lizza

Università di Pisa (IT)

 

 

Il doppio nella trilogia "I nostri antenati" di Italo Calvino

 

               Il mio contributo analizzerà il complesso sistema dei personaggi nelle opere della Trilogia "I nostri antenati" - "Il Visconte dimezzato" (1952), "Il Barone rampante" (1957), "Il Cavaliere inesistente" (1959) - tenendo conto dei necessari collegamenti con il resto della produzione di Italo Calvino.

               Ne "Il Visconte dimezzato" ci soffermeremo sulla doppia figura del Visconte; in quest'opera il tema del doppio può essere analizzato pensando alle due metà del corpo del Visconte, che vivono separatamente, e allo sdoppiamento del carattere del Visconte in due caratteri opposti (uno totalmente buono, uno totalmente malvagio) nelle due metà del corpo originario.

               Ne "Il Barone rampante" analizzeremo il rapporto tra il protagonista Cosimo

- il Barone rampante che si ritira a vita sugli alberi -  e suo fratello, voce narrante che dalla terra segue la vita del Barone; il romanzo offre la possibilità di riflettere sul tema del doppio anche nell'analisi del rapporto tra Cosimo e Viola, visti gli elementi di affinità tra i due personaggi.

               Ne "Il Cavaliere inesistente" rifletteremo sulla figura di Suor Teodora, che è la voce narrante del romanzo e che, come scopriamo nella conclusione, è al contempo anche la coraggiosa amazzone Bradamante, e sulla coppia Agilulfo - Gurdulù: Agilulfo - il cavaliere inesistente che dà il titolo al romanzo - è sola razionalità senza materia; il suo scudiero Gurdulù appare invece come sola materia senza razionalità; in contrapposizione con l'assoluto non essere di Agilulfo, Gurdulù esiste fisicamente, ma non ne ha coscienza e si confonde con la natura bruta, credendosi di volta in volta anatra, rana, zuppa, cavallo. Italo Calvino stesso ricorda (Introduzione del 1960 alla Trilogia) di aver tratto il personaggio di Gurdulù da un procedimento di "contrapposizione logica" rispetto ad Agilulfo.

               Nel mio contributo non solo analizzeremo i vari modi in cui Calvino affronta il tema del doppio, ma li contestualizzeremo tenendo conto dello sviluppo delle opere della Trilogia e del loro significato: possiamo infatti accogliere "Il Visconte dimezzato", "Il Barone rampante", "Il Cavaliere inesistente" come "storie, come si dice, aperte, che innanzitutto stiano in piedi come storie, per la logica del succedersi delle loro immagini, ma che comincino la loro vera vita nell'imprevedibile gioco d'interrogazioni e risposte suscitate nel lettore" (Italo Calvino, Introduzione del 1960) o possiamo esaminare l'allegorico ritratto, offerto dalla Trilogia, dell'uomo e dell'intellettuale in divenire, "dimidiato, mutilato, nemico a se stesso" (ancora Calvino nell'Introduzione del 1960)

come il Visconte dimezzato, che si separa dal mondo ma paradossalmente continua a vivere in contatto con gli uomini, come fa il Barone rampante, o che rischia l'inesistenza.


Rolf Lohse

Università di Götingen (D)

 

 

Il doppio e il suo teatro

 

               Nel teatro italiano del cinquecento si imbatte molto spesso immagini dei sosia e dei gemelli. I primi autori drammatici italiani – eredi del dramma antico – non hanno soltanto riciclato questa tematica, ma hanno scritto i loro testi nella consapevolezza di creare una specie di doppio del teatro antico.

               La tematizzazione del doppio include probabilmente un aspetto metatestuale che riguarda il lavoro artistico che non si limita al raddoppiamento docile rispetto ai modelli antichi, ma che si apre verso una creazione propria.

Niva Lorenzini

Università di Bologna (IT)

 

 

La traduzione come travestimento: il caso di Edoardo Sanguineti dall'"Orlando furioso" al "Faust"

 

               Sanguineti rappresenta un caso singolare di poeta che traduce parodiando e travestendo, pur rimanendo fedelissimo all'originale. E' lui stesso poeta di maschere e disseminazione dell'io in tanti "ii" personaggi. E' tra i fondatori, in Italia, della neoavanguardia e del Gruppo  '63: l'argomento che propongo potrebbe prestarsi bene alle intenzioni del convegno, perché consente di discutere circa i concetti di fedeltà all'originale, di rispecchiamento, di trasformazione. Non so quanto Sanguineti sia noto da voi, ma se vi sembrasse opportuno invitarlo, sarebbe occasione ottima per farlo dialogare sul concetto di travestimento (e per fargli leggere qualche pagina dei suoi travestimenti, che vanno dal Satyricon di Petronio alle Baccanti, dall'Orlando furioso eseguito per il teatro di Luca Ronconi nelle piazze italiane al Faust di Goethe o al Brecht del Cerchio di gesso del Caucaso). Se necessario, potrei fare io da tramite con lui, e comunque farvi avere l'indirizzo. Resto a disposizione per ogni chiarimento. Naturalmente potrei proporvi anche un argomento dannunziano, dato che ho curato per i Meridiani Mondadori due volumi dei versi e dei romanzi di d'Annunzio: ma mi pare che il primo argomento possa riuscire più stimolante.

Justyna Lukaszewicz

Università di Breslavia (PL)

 

 

La realtà rappresentata nelle traduzioni polacche di Pinocchio: mondi paralleli o il doppio multiplo

 

La vasta letteratura interpretativa cresciuta attorno al più famoso romanzo italiano per l'infanzia abbonda di riferimenti al doppio, quali: Pinocchio uno e bino di Emilio Garroni (Laterza 1975) o Pinocchio: un libro parallello di Giorgio Manganelli (Einaudi 1977). La doppiezza del personaggio stesso è particolarmente evidente alla fine del libro, quando il nuovo Pinocchio, un ragazzo in carne e ossa, contempla il vecchio Pinocchio di legno. La moltiplicazione è continuata a un ritmo sempre più accelerato con la fortuna internazionale del romanzo.

Tra centinaia di traduzioni e rifacimenti esiste anche una decina di versioni polacche. Non è certo il primato mondiale per quanto riguarda il capolavoro di Carlo Collodi, ma probabilmente nessun altro libro italiano ne ha avute di più in Polonia. Considerando queste traduzioni come testi paralleli che, insieme, formano un doppio multiplo del testo di partenza, analizzerò le tensioni tra l'italianità e la polonità che risultano dal modo di porsi del traduttore rispetto alla matrice culturale dell'originale, in particolare il tema del mangiare. Il mondo del burattino che nasce e matura sotto il segno della fame e tra i tentativi di sfamarsi è infatti in gran parte costituito da vari pasti e cibi (mangiati o sognati, veri o finti, ricercati o disprezzati). Dalle descrizioni dei pasti agli insegnamenti morali e modi di dire, i motivi gastronomici, in quanto ancorati alla cultura di partenza, creano diversi problemi ai traduttori, ma allo stesso tempo, nel loro complesso, contribuiscono all'universalità del racconto. D'altro canto il riflettersi in una moltitudine di specchi linguistico-culturali può anche dare una nuova luce a qualche aspetto dell'originale.


Maslina Ljubièiæ

Università di Zagreb (HR)

 

 

Italianismi del francese – francesismi dell'italiano

 

Il significato dei prestiti risulta spesso cambiato rispetto a quello dei loro modelli. Il nuovo significato rappresenta appunto il motivo per cui la stessa voce viene in seguito ripresa dalla lingua da cui è stata mutuata, diventando a sua volta il suo modello. Partendo dal corpus di T. E. Hope (Lexical Borrowing in the Romance Languages) nella relazione verranno trattati gli italianismi del francese che sono “tornati” all'italiano. Sul piano del significante tali prestiti “restituiti” possono differire dalle parole italiane originarie: in tale caso rappresentano i loro allotropi. Nel caso contrario abbiamo a che fare con prestiti semantici. I prestiti di ritorno tra l'italiano e il francese attestano in modo particolare l'intensità dei rapporti reciproci tra le due lingue romanze.  


Mladen Machiedo

Università di Zagreb (HR)

 

 

Entusiasmi, paradossi e ambiguità intorno all'altro

 

            Nel suo compendio di “transitalianistica” O ‘modusima' književnosti (Sui modi di letteratura, ed. Hrvatsko filozofsko društvo, Zagreb, 1996, 2° ed. aumentata 2002) l'autore aveva dedicato un ampio saggio a Carlo Dionisotti circa la geografia, rispettivamente il plurilinguismo in letteratura, da lui promossi, commentando il metodo dello studioso piemontese (per molti anni residente a Londra) ed estendendo il discorso agli esempi paralleli e complementari, nonché ali due secoli “saltati”: il Seicento e il Novecento.

            A distanza di qualche anno, l'autore dell'articolo, pur considerando se stesso croatista d'occasione, ha deciso (poiché nel frattempo nessuno in patria ha accolto il suo suggerimento a proposito) di prospettare lui stesso Le possibilità d'applicazione della geografia di Carlo Dionisotti (1908-1998) alla letteratura croata; fermo restando che la fama dello studioso registrava, intanto, un evidente crescendo postumo, grazie ai superlativi espressi da Maria Corti, e che il suo metodo acquistava prestigio tramite le guide contemporanee di Giampaolo Dossena, come pure di Doris e Arnold E. Maurer.

            I suggerimenti “dionisottiani” proiettati sulla letteratura croata, ed ogni volta argomentati dall'autore dell'articolo, sono: lo spostamento dei centri culturali da Sud a Nord (dal petrarchismo raguseo e dalmata alla Slavonia illuminista e alla Zagreb “illiristica” {= risorgimentale}, liberty e moderna); la continuità della lingua croata sotto le dominazioni straniere (con la lessicografia comparata a partire dal 1453 cca); lo standard linguistico mutevole; la letteratura dialettale in varie regioni, rispettivamente il plurilinguismo creativo e la resistenza del latino (quale lingua ufficiale dell'Assemblea croata fino al 1847); i contatti con le letterature straniere e i paesi relativi (traduzioni, prose di viaggio ecc.); l'identità nazionale “al bivio”, rispetto ai quattro punti cardinali; l'editoria nazionale all'estero (specie in Italia); la ricezione rinviata delle opere significative che avrebbero fatto deviare le direttrici della letteratura croata (Dundo Maroje di M. Držic nel Cinquecento, la traduzione del Vangelo di B. Kašic nel secolo successivo, la poesia barocca di K. Frankopan, il «caso» di J. Polic Kamov nel primissimo Novecento); gli autori provenienti dall'area croata ed entrati in altre letterature e culture (G. F. Biondi, N. Tommaseo, R. Boškovic ecc.); la diacronia dell'autocoscienza nazionale (Marulic, Lucic, Zoranic… fino a Krleža e oltre), le testimonianze straniere circa l'identità croata (Le Voyage de Charlemagne à Constantinople et à Jérusalem, all inizio del XII secolo, prima di Dante); infine i “pro memoria” (lapidi e statue) che ornano o dovrebbero ornare varie città (segnalando il passaggio degli scrittori e artisti stranieri e stimolando in tal modo il turismo culturale). L'articolo si chiude con i riferimenti ad alcune opere che salvano non solo il “tempo perduto”, bensì i luoghi distrutti (nella guerra patria degli anni '90), quali Le storie di Vukovar di Siniša Glavaševic, vittima del barbaro assedio di quella città (da cui si cita: “Molti marinai non tornano mai alla terraferma, ma regalano se stessi all'eternità e alle favole, / / Mentre dormo, sogno a volte di navigare io stesso, distante e felice”).


Maria Caterina Magliocca

Università di Zagreb (HR)

 

 

Luna e l'altra  (Italia, 1996), regia di Maurizio Nichetti

 

 

Luna,  la protagonista della storia,  entra in conflitto con la sua ombra. Analisi dei temi e dei personaggi del film.


 

Angelo M. Mangini

Bologna (IT)

 

Il doppio, la scrittura, la morte. Temi fantastici e metaletteratura nell'opera di Luigi Pirandello

 

La presenza diffusa, all'interno dell'opera pirandelliana, di temi appartenenti alla tradizione del fantastico è cosa nota e ripetutamente indagata (Macchia, Gioanola, Bonifazi…): doppi, fantasmi, riflessi anamorfici, simulacri animati e perturbanti affollano non solo romanzi, drammi e novelle dello scrittore siciliano, ma anche le pagine in cui egli riflette sulla propria scrittura indagandone l'origine, gli scopi e le più profonde motivazioni. Proprio da queste pagine emerge chiaramente come i più classici motivi della tradizione dell'Unheimliche si prestino a divenire, per l'immaginario poetico pirandelliano, figure privilegiate dei vari aspetti della creazione e della comunicazione letteraria.

Ciò che ci proponiamo di mostrare è come un aspetto caratterizzante del ri-uso pirandelliano delle tematiche perturbanti stia appunto nella progressiva messa a fuoco, nell'esplicitazione, e nella conseguente valorizzazione, della loro valenza metadiscorsiva. Questo aspetto risulterebbe, per altro, esemplare di una più generale tendenza evolutiva della letteratura di modo fantastico che, inoltrandosi nel Novecento, tende, non solo in terra italiana, ad accentuare progressivamente «il proprio gusto di mettere in rilievo e rendere espliciti tutti i meccanismi della finzione» (Cavalli) fino a sfociare in quel «fantastico linguistico» (Campra) che secondo molti critici costituirebbe il più prestigioso approdo del «fantastico semantico» del secolo precedente.

In questa prospettiva, alcuni degli aspetti più modernamente eversivi della scrittura pirandelliana – legati come sono ad una indiscutibile tendenza auto-riflessiva e alla conseguente «scomposizione estrema» dei confini del testo, «del suo dentro-fuori» (Milone) – sarebbero riconducibili a quella che, servendoci di un termine coniato da Remo Ceserani, potremmo chiamare la sua profonda «fantasticizzazione».

L'opera di cancellazione, o di trasgressione, del limite fra realtà e finzione che il testo fantastico da sempre si prefigge, e i motivi che di tale operazione formano la sostanza tematica, divengono, nell'opera di Pirandello, il modello e gli emblemi di una dinamica vertiginosa di rifrazioni, riconoscimenti e sostituzioni; di una giostra di consecutivi e inarrestabili rovesciamenti di fronte nella quale risulta infine impossibile distinguere fra Io e Altro, soggetto e oggetto, reale e irreale.

La presenza e l'assenza, il mondo e la sua rappresentazione, l'esperienza dello scrittore, del personaggio e del lettore appaiono, in questa prospettiva, tutte composte della medesima fantasmatica sostanza, tutte ugualmente pericolanti sul nulla da cui emergono e nel quale sono sempre sul punto di precipitare. “Essere qualcuno” in quanto soggetto della scrittura significa sempre, per Pirandello, cancellarsi in favore di qualcun altro, abdicare alla propria presenza e alla propria voce per essere “agito” e “parlato” da quell' “altro”, da quella moltitudine di “altri”, che l'opera impone di fronteggiare.

Proprio di questa perturbante dinamica ci parlano i tanti doppi e revenant, i tanti inquietanti simulacri, i tanti fantasmi che sono personaggi (e personaggi che sono fantasmi) dell'opera di Luigi Pirandello.


Maria Maslanka Soro

Università di Krakow (PL)

 
 

Il doppio in Dante: tra umano e bestiale nell'Inferno

 

               Nella presente comunicazione intendo analizzare i casi del doppio inteso in termini indicati nel titolo. Come e noto l'animalesco e il bestiale svolge una precisa funzione nel regno di Lucifero, lui stesso chiamato il " vermo reo che il mondo fora", essendo il simbolo della natura umana degradata dal maluso della ragione, volta in negativo e perfino in tragico.L'animalesco totale, per di piu sposato con il mostruoso, caratterizza i guardani dei singoli cerchi. Alle anime dannate sono riservati, invece, altri status, che vanno dall'ibridismo vero e proprio e la metamorfosi che avviene hic et nunc, il che nella realta infernale dell'eterno presente significa in perpetuo, fino al possesso di alcuni tratti animaleschi, espressi tramite le similitudini oppure le allusioni piu o meno implicite. La tipologia e l'esame di questi casi e della precisa funzione che presentano nel testo dantesco (con eventuali rimandi intertestuali) sara l'oggetto dell' analisi particolareggiata.

Nikica Mihaljeviæ

Università di Split

 

 

L'eterna rivalità tra Luigi Pirandello e Arturo Graf:il doppio letterario nelle opere dei due autori

 

           Varie opere di Luigi Pirandello offrono numerosi esempi dell'io a confronto con i suoi doppi, ma pure nelle opere di Arturo Grafsi osserva la ricorrenza del doppio letterario, che si presenta nel contesto simile al modo pirandelliano. Lo scopo di questo articolo è dimostrare e delineare le figure del doppio letterario in Pirandello e in Graf.  

 

Jadwiga Miszalska

Università Jagellonica, Cracovia (PL)

 

 

Il doppio del doppio: il personaggio "gemello" nelle traduzioni polacche dei romanzi barocchi italiani

 

Verranno esaminati diverse varianti di personaggi „gemelli” frequenti nei romanzi secenteschi italiani: personaggi che si assomigliano per aspetto esteriore, per carattere, per destino, per funzioni che hanno da compiere. L'uso di questo espediente crea momenti di suspense, di equivoco e facilità gli scambi dei ruoli. Questo crea a sua volta situazioni di tensione erotica con un'aura di omossessualità e ermafroditismo, quando la similitudine riguarda personaggio maschile e femminile e rende oscura la sua identità sessuale. L'analisi riguarderà le traduzioni  polacche dei romanzi italiani in cui si cercherà di rintracciare le strategie dei traduttori miranti a conservare o eliminare le ambiguità presenti nei testi originali. Si prenderanno in considerazione La Dianea di G. F. Loredano, Il Cretideo di G, B, Manzini, e Il Calloandro fedele di G. A. Marini.

 


Dolores Miškulin Èubriæ

Università di Rijeka (HR)

 

 

Il gioco d'immagini nella narrativa fantastica di Enrico Morovich

 

Una caratteristica ricorrente e comune alla maggior parte dei racconti fantastici di Enrico Morovich e` la compresenza di due piani, quello fantastico e quello realistico che sembrano perfettamente integrati in una fusione che si attua mediante la figura del narratore (testimone).

Il fantastico, o meglio l'irrazionale, viene affrontato da Morovich da molteplici angolature che danno origini a soluzioni stilistico-narrative diversificate, nelle quali questo tema occupa posizioni e ruoli che variano da un'opera all'altra.

Analizzeremo percio` i vari espedienti usati da Morovich per delineare il suo fantastico universo invaso da spettri onirici e fantasmi. Individueremo il gioco d'immagini nell'ambito del suo opus cercandone le possibili fonti, gli spunti e le analogie nel simbolismo onirico, nella sua inventiva metaforica, nell'umorismo surrealista, nel realismo magico e nella letteratura fantastica.

Elaborando degli spunti garbatamente ironici nei suoi racconti surrealistici o paradossali ad effetto, l'autore inaugura un nuovo genere  che culminera` nei volumi delle raccolte pubblicate nel 1938 e 1939. In essi assistiamo ad una gustosa lievitazione verso una dimensione fantastica mediante l'improvvisa inserzione dell'impossibile nella realta`, ad un'ironica deformazione della realta`, fenomeno riscontrato nella tradizione letteraria italiana gia` nei narratori burleschi del Quattrocento e del Cinquecento.

La novita` sta nel processo di «isolare l'eccezione con i filtri dell'ironia» il che produce un magico senza magia ed un surreale  senza surrealismo-un effetto particolare ed inconfondibile.


Daria Mizza

University of Warwick (GB)

 

L'insegnamento delle abilità di scrittura in corsi d'italiano come lingua straniera:

dalla tradizione all'innovazione.

 

Il presente contributo si basa su un progetto-pilota che ho condotto nell'anno accademico 2002/2003 all'Università di Warwick, nell'Inghilterra centrale. Le idee preliminari, la procedura, l'analisi dei dati e le successive proposte didattiche scaturiscono da osservazioni e valutazioni compiute in contesti di insegnamento/apprendimento universitari inglesi di italiano LS, afferenti a facoltà di vario indirizzo[4].

L'iniziativa relativamente originale di “corrispondenza telematica” è stata proposta all'interno di classi tecnologicamente dotate del Dipartimento di italiano e mira ad individuare possibili itinerari applicativi all'idea di comunicazione autentica degli studenti con il proprio insegnante, con gli altri studenti e con destinatari esterni alla classe.

Durante il processo d'insegnamento/apprendimento delle abilità di scrittura si è creata una duplicità di diversa natura:

1. Il raggiungimento del prodotto (la composizione scritta finale) e la consapevolezza del processo in atto (il processo cognitivo attivato);

2. I nuovi ruoli assunti da insegnante e studente.

La tradizione italiana legata alla scrittura si è concentrata per lungo tempo sull'idea che il “saper scrivere” significasse comporre frasi grammaticalmente corrette, piuttosto che esprimere pensieri chiari e coerenti in forma scritta. Questa tendenza didattica concentrava la correzione sulla sola ortografia, senza mettere in discussione la struttura del paragrafo o l'organizzazione logica delle idee.

La didattica della scrittura odierna si propone di fornire non solo le competenze necessarie al raggiungimento del prodotto, ma anche la consapevolezza del processo in atto. L'insegnante interviene su entrambi, in momenti determinati, per mezzo di tecniche precise e di scopi prefissati. Un diverso approccio dell'apprendimento è dunque alla base di una nuova didattica della scrittura. Possono essere individuate due componenti fondamentali di un contesto che favorisca l'apprendimento: i nuovi ruoli assunti rispettivamente da insegnante e studente.

Il nuovo ruolo dell'insegnante costituisce un fattore significativo nel contesto d'apprendimento, che, molto spesso trascurato, rappresenta spesso la variabile più importante della classe.

La nuova didattica della scrittura richiede che l'insegnante abbia alcuni requisiti. Innanzitutto, deve avere una solida motivazione, provando interesse per questo obiettivo e avvertendone l'importanza culturale e pratica. Inoltre, deve possedere delle conoscenze relative ai contributi più recenti della ricerca in questo campo, per poter conoscere e spiegare al meglio la natura e la specificità dei meccanismi della scrittura, conoscere e saper spiegare la natura di un errore, nonché la sua possibile causa, sapendone fornire una o più forme sostitutive.[5]

Il ruolo di guida e di informazione svolto ha un'importanza estrema, in quanto lasciare la corrispondenza all'iniziativa degli studenti, significa destinarla ad un breve scambio di lettere e ad un probabile insuccesso. Per divenire un utile strumento didattico, infatti, la corrispondenza telematica deve essere utilizzata in modo corretto. Purtroppo, la sua ancora limitata diffusione non ha permesso lo sviluppo delle necessarie abilità richieste da un'attività che solo apparentemente è facile da gestire. In tale contesto, tuttavia, l'insegnante non detiene più il ruolo centrale di depositario esclusivo del sapere, ma il ruolo periferico di dispensatore di informazioni, orientando e indicando dei percorsi agli allievi, ed essendo disponibile anche ad apprendere. Deve essere conscio che il sapere, le metodologie e le tecniche d'insegnamento ad esso legate non sono un dato acquisito per sempre in un periodo circoscritto, ma un elemento che è inserito in una prospettiva di formazione permanente.

Il processo di comunicazione viene in tal modo facilitato, poiché lo scrittore è guidato alla selezione del contenuto, alla stesura di questo nella forma e nello stile appropriati.

Viene da sé che compito dell'insegnante è anche motivare lo studente, creando un contesto che favorisca l'apprendimento. Dare uno scopo alla negoziazione del significato, consentire differenze individuali e soprattutto motivare gli studenti a esprimere i significati propri costituiscono le componenti fondamentali di un contesto che favorisce l'apprendimento.

Il diverso ruolo assunto dallo studente ipotizza la sua collaborazione attiva con gli altri studenti, nonché fra gli studenti e l'insegnante. La prestazione individuale, seppur richiesta in alcune fasi, lascia sempre più spazio allo svolgimento di un compito all'interno di un gruppo di lavoro, costituito anche dai compagni o dall'insegnante o entrambi.


Franco Musarra, Ulla Musarra-Schroeder

Università Cattolica di Lovanio

 

 

Su alcune modalità del doppio nella narrativa del primo Novecento

 


Marija Nedveš

Università di Rijeka (HR)

 

 

Incroci (oppure contaminazioni, convivenze, contatti) linguistici sul suolo istriano

 

L'intervento sarebbe volto ad indagare i dati fonologici raccolti nell'ambiente di Orsera che rivelano contaminazioni derivanti da lingua e dialetti in contatto con sbocchi multipli: istroveneto-italiani,  istroveneto-ciacavi, istroveneto-croati, croato-italiani, croato- istroveneti, ecc. Emergono delle contaminazioni linguistiche, lessicali e fraseologiche in contesti di uso quotidiano, le modalita'di rappresentazione e di concezione dei vari gruppi etnici e linguistici, soprattutto di quelli geograficamente, storicamente e culturalmente piu' vicini.

 


Meris Nicoletto

Università di Warwick (GB)

 

 

Il doppio nel film di Silvio Soldini: Brucio nel vento

 

L'intervento cercherà di dimostrare come  Silvio Soldini, pur continuando a proporre, come in alcuni suoi film precedenti, il tema del viaggio, in Brucio nel vento, si sia  misurato con il tema del doppio, rappresentato dalla ricerca dell'identità perduta. Il protagonista-eroe della storia ripercorre « parzialmente » le tappe della fiaba che lo porteranno a riconquistare l'identità perduta. Figlio di una prostituta e del maestro del villaggio, Tobias, da bambino, ha cercato di uccidere il padre. In seguito all'infrazione, ha intrapreso un viaggio che lo ha condotto, dopo varie peripezie, in un paese straniero dove lavora, come operaio, in una fabbrica di orologi. Tobias vive nella nuova patria un'esistenza tormentata dai fantasmi del passato in attesa di una donna irreale e bella dal nome Line. Come nelle fiabe, è il caso che fa re-incontrare Tobias e Caro(line), la bambina sua compagna di banco a scuola, la figlia del maestro e pertanto sua sorellastra.  L'intervento si soffermerà poi sul ricongiungimento di Tobias con l'altra metà di sé attraverso un tipo di amore connotato simbolicamente: l'incesto. L'amore incestuoso con la sorella nasconde un altro doppio: Line è anche il nome della madre di Tobias.

Tema ricorrente del film è il vento che rimanda all'archetipo della natura-madre: bruciare nel vento incontenibile, impetuoso, sfrenato, della « passione amorosa » significa identificarsi con la forza vitale e primigenia della natura, liberarsi da una vita spenta ed inerte e bruciare fino all'annullamento. Da questo binomio vento/natura-madre (archetipo) si dipana un altro doppio: scrittura e immaginazione o sogno. Quando il vento soffia incontenibile, nasce la creazione artistica che traduce in parole il sogno e la follia di Tobias. Il delirio scatenato dai ricordi tormentati dell'infanzia trova nella scrittura la « catarsi ». Dai ricordi del passato emerge un ennesimo doppio: padre e figlio: Tobias nel paese straniero ha scelto il nome del padre: Dalibor. Il padre, che nella cultura occidentale rappresenta l'autorità, per Tobias/Dalibor simboleggia l'autorità perduta, intesa come momento di crescita, di iniziazione. Solo la scrittura permette al protagonista del film di dimostrare, prima di tutto a se stesso, che è degno di appartenere ad uno status sociale superiore, come suo padre avrebbe voluto. Un altro doppio è immagine e scrittura cinematografica. La scrittura cinematografica di Soldini lascia prevalentemente alle immagini il compito di raccontare non solo le « visioni oniriche » di Tobias ma anche il suo « vissuto » quotidiano. La voce fuori campo del protagonista non riesce a prendere il sopravvento sul racconto per immagini, o meglio, è essa stessa un'immagine, come si vede all'inizio del film quando la scrittura appare sullo schermo nero. Il lieto fine del film tradisce lo schema della favola (di qui il « parzialmente » usato all'inizio), perché non c'è alcun ritorno circolare al punto di partenza. Line-Tobias hanno commesso un'altra infrazione (Line ha tentato di uccidere il marito).  Il viaggio-fuga, unidirezionale, è pertanto  inevitabile e l'essere sempre stranieri  è il prezzo che i due giovani dovranno pagare per aver raggiunto la loro identità. Appartiene allo schema della fiaba anche l'indeterminatezza geografica e temporale. Un altro motivo collegato all' « erranza » e alla « ricerca dell'identità perduta » è il doppio linguistico: il ceco è la lingua degli immigrati, è la lingua che comunica affetti (Tobias parla ceco con Line e gli altri rifugiati). Il francese nella versione originale, la più amata dal regista, invece è la lingua della patria ospitante, è la lingua della scrittura intesa come alternativa alla vita grigia e piatta, ma è anche la lingua del perpetuo esilio, dell'identità ritrovata « altrove ».


Magdalena Nigoeviæ

Università di Split (HR)

 

 

Il doppio effetto del mezzo  televisivo nel processo d'apprendimento della lingua italiana

 

La presente comunicazione si propone di affrontare le caratteristiche del linguaggio televisivo nel processo d'apprendimento della lingua italiana in Croazia. L'apparecchio televisivo è ormai onnipresente ed è indubbiamente il media più diffuso e più divulgativo alla scala globale. Le trasmissioni televisive inoltre rappresentano fortemente la cultura, la lingua e la realtà della società alla quale appartengono.

In quest'ottica verranno messi in evidenza diversi elementi che caratterizzano il linguaggio televisivo, i quali rispecchiano fedelmente la situazione della lingua italiana d'oggi (una vasta gamma di varietà diatopiche, diastratiche, diamesiche e diafasiche). Inoltre l'avvicinamento alla Tv italiana in Croazia è favorito dalla vicinanza geografica e storica e dal rinnovato interesse per l'italianità.

Particolare attenzione verrà posta sull'evasione dalla norma da parte del media televisivo. Si cercherà di mettere in rilievo alcuni esempi dai programmi televisivi seguiti in Croazia e le loro caratteristiche peculiari circa l'uso della lingua.

Le grammatiche di italiano e i contenuti grammaticali dei manuali destinati all'insegnamento e all'apprendimento dell'italiano a stranieri sono lo specchio dei dubbi esistenti fra i parlanti nativi. Non c'è una sola norma, ce ne sono varie a seconda delle situazioni comunicative. Come lo standard letterario è difficilmente riscontrabile nei programmi televisivi italiani così neanche il neo - standard (Berruto 1987) o l'italiano d'uso medio (Coveri, 1998) non è di regola l'unico modello televisivo.

Cercare il punto di riferimento è un comportamento abituale di chi si trova lontano dal reale contatto con i fatti di lingua, il comportamento che porta alla ricerca di certezze e fonti da cui attingere esempi e modelli. I programmi televisivi non sono sempre degli ottimi modelli da seguire in processo d'apprendimento della lingua italiana.

Si cercherà di spiegare che è auspicabile apprendere prima la norma per poter essere capaci di riconoscere eventuali trasgressioni, distacchi o innovazioni. Poi sarebbe opportuno fare l'uso del materiale autentico televisivo, perché la parola accompagnata dall'immagine, rende la lingua più immediata e più comprensibile. Contemporaneamente sarebbe opportuno cercare di far conoscere, se non apprendere, tutte le varietà della lingua italiana. In seguito, tale modello d'apprendimento svilupperebbe non solo la competenza linguistica, ma anche la competenza comunicativa.


Renato Nisticò

Scuola Normale Superiore di Pisa (IT)

 

 

Il doppio: il caso limite di Mattia Pascal. Una lettura antropologica

 

Il romanzo più famoso di Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal (1904) offre notevoli spunti per una lettura dal punto di vista antropologico; in particolare, nell'ottica degli studi di Ernesto De Martino, i cui rapporti con la teoria letteraria mi occupo da tempo di investigare. Secondo questa prospettiva è corretto vedere il doppio in arte e in letteratura come retaggio dell'istituto totemico. Esso non è solo espressione di spossessione e perdita dell'identità, dunque; ma può essere visto anche vincolo aggregativo, di appartenenza ed identità. La tematica del doppio in letteratura eredita questa plusvalenza.

Anche nel romanzo di Pirandello lo sdoppiamento è il portato – e il sintomo – di una forte crisi della presenza; ma è pur vero che attraverso la mossa strategica di Mattia, sdoppiatosi in Adriano Meis, egli si avvia a una risoluzione drammatica della crisi, ricomponendo il doppio in una unità superiore, più complessa rispetto alla personalità di partenza. Quest'ultima deve in qualche modo accettare la sua stratificazione interiore per potere continuare ad esistere, se pure in una dimensione “postuma”

Proprio qui risiede lo snodo problematico e l'interesse storico-teorico dell'opera di Pirandello dal punto di vista di una teoria del doppio in letteratura all'interno dello scenario contemporaneo – di capitalismo maturo, o postmoderno come si usa dire. In questa domanda: come si inserisce il Mattia Pascal nella storia dell'immaginario letterario e più specificamente nella dialettica moderno / postmoderno?

La vicenda di Mattia Pascal può essere presa infatti come metafora del passaggio da un orizzonte culturale “chiuso” come era ancora quello moderno della seconda ondata capitalistica (in cui era ancora possibile demartinianamente ricomporre una identità culturale dispersa) a un orizzonte culturale “aperto” come quello della sur- o postmodernità, quello attuale: nel quale l'identità e la compatezza del Soggetto vengono messe in crisi dalla prassi sociale e dalle teorie filosofiche. Ovvero può anche servire a una ridiscussione di tali assunti, forse corrivi.


Živko Nižiæ

Università di Zadar (HR)

 

 

Pier Paolo Pasolini: «Calderon» - Life is three dreams

 

The year of 1965 is the key year in Pasolini's theatrical adventure. According to his own statement he wrote 6 tragedies, while sick reading Platon who inspired him for dramatic expression in rhymes through characters. In that offer accompanied by his «Theory of Acting» («Manifesto del teatro di Parole», more recognized by title «Per un teatro nuovo»), a very interesting place is taken by «Calderon», explicit and by a lot of formal elements a picturesque reception and repetition of «Life is a dream» of Calderon della Barca. The main character Rosaura dreams three dreams; the escape from reality opens up a space of repressed wishes, and incest is offered with counterpoints of socially political commentary whose rarity and worthiness stand as almost unique in artistic stimulation in the sphere of theatrical creation.

We will try to follow the logic of that interference of intellectual, social and revolutionary, subconscious, incestuous gradation and valorization of incest in relations: Rosaura-father, Rosaura-son. Pessimistic absoluteness of both plans will be observed by offering interpretation that perhaps right in the sphere of theater  Pasolini's world class creation took place as the sum of intellectual, revitalizing the worthiness and the possibility of existence in the community. In his «tragedies» death and intellectual aggresiveness are implicit, as he expressed himself as «grazie alla morte la nostra vita ci serve per esprimersi». We can connect this statement with a projected artistic plan of Pasolini's choice of death as presented by Giuseppe Zigaina.

For life, which is death, only a dream is an acceptable biography. A question will be asked as how in that context a Divine Comedy would be created?


Jadranka Novak

Università di Zadar (HR)

 

 

Il ruolo multiplo della 'diversità' ne Il barone rampante di Italo Calvino

 

Ne Il cavaliere inesistente e Il visconte dimezzato, due romanzi brevi appartenenti alla trilogia I Nostri Antenati,  la divisione dei protagonisti viene rappresentata sia in modo fisico, che in quello spirituale. Invece, nel terzo romanzo, Il Barone rampante,  il protagonista Cosimo Piovasco di Rondò non possiede il suo doppio distaccato, che potrebbe assumere una sua fisionomia particolare, ne vi esiste una scissione della sua coscienza. Egli viene rappresentato solo come un diverso, differente dagli altri.

Il mio intervento si soffermerà proprio su questa 'diversità nascente dall'alto grado della individuazione e autenticità del personaggio. Fine a cui si vuole giungere in questa analisi sarà rispondere alla domanda se o in che modo è possibile non essere una replica.

Partendo dal presupposto che il protagonista Cosimo Piovasco di Rondò rappresenta in qualche modo la realizzazione del 'represso', e il punto in cui si incrociano i diversi modi della nostra esistenza, l'analisi testuale si svolgerà secondo questi punti referenziali sempre rilevanti al Barone:

 

1) diversità del barone come una ricerca dell'identità e individualità

2) diversità come il prisma mediante la quale vengono caratterizzati altri personaggi

3) diversità come il riflesso dell'inconscio colettivo

4) diversità come il modo per esprimere/conoscere l'alterità sociale.


Ilonka Peršiæ

Split (HR)

 

Le figure del doppio nelle opere di James Joyce ed Italo Svevo: il concetto di vagabondaggio e della ricerca di identità in Ulisse e La coscienza di Zeno

 

Questa relazione trattera' del concetto del vagabondaggio e della ricerca di identita' inteso come uno dei tanti possibili doppi/paralleli, riflessioni, immagini inverse o identiche - che popolano lo spazio intertestuale delle opere di Joyce e Svevo. (Piu' precisamante, si concentrera' soprattutto su due dei loro romanzi: Ulisse e La coscienza di Zeno).

Nella letteratura moderna, l'Io non e' un soggetto sostanziale, unitario, ma, piuttosto, una personalita' decentrata, alla ricerca di un'auto-definizione.

Visto in quest'ottica, il tema del vagabondaggio e della ricerca di identita' puo' essere inteso come un tentativo di incontrare l'Altro: sia, cioe', come mezzo di completamento e di attualizzazione della propria personalita', sia, anche, come modo di risolvere l'insoddisfazione del soggetto che nasce nel momento del suo ingresso nella cultura. Stephen Dedalus annotava che noi siamo soliti vagabondare per il mondo “sempre incontrando noi stessi” (U: 9). Dunque il concetto di vagabondaggio e della ricerca di identita', mentre potrebbe, a prima vista, connotare la figura unica di un vagabondo solitario, richiama, necessariamente, la nozione del doppio che supera i limiti di un singolo testo e richiede una lettura comparata ed intertestuale. 


Tatjana Peruško – Nino Raspudiæ

Università di Zagreb (HR)

 

 

Doppio, altro e diverso nel Notturno indiano di Antonio Tabucchi

 

La prima parte dell'intervento sara dedicata all'analisi del doppio, altro e diverso nel Notturno indiano dal punto di vista della filosofia del pensiero debole di Giovanni Vattimo, soprattutto di alcune sue categorie fondamentali come Verwindung", "pietas", "spaesamento". Verra proposta la lettura in chiave "debolista" della relativizzazione dei confini ontologici nel mondo/mondi narrativi del Notturno indiano . Di conseguenza, verranno introdotti i concetti del "doppio al quadratto" e "doppio diverso".

La seconda prospettiva ermeneutica proposta nell'intervento sara piuttosto orientata ad analizzare i procedimenti tramite i quali il viaggio gnoseologico del personaggio tabucchiano contemporaneamente assume dimensioni teosofico-metafisiche e mette in azione una serie di considerazioni gnoseologico-ontologiche. Confidata sia ai rimandi intertestuali che alla trama ambigua della metamorfosi o dello sdoppiamento del soggetto, si effettua in questo breve romanzo pseudofantastico la messa in scena del rovesciamento dei ruoli, dello sdoppiamento degli sguardi, dell'effetto falsario che qualsiasi cornice rappresentativa incide nella materia viva dell'esperienza umana. Sono questioni che portano a contatto diverse tradizioni filosofiche, teoriche e letterarie, adottate dalla struttura frammentaria e autoriflessiva del romanzo che ne depotenzia l'egemonia assoluta.

 

 


Ivica Peša

Università di Zagreb (HR)

  

 

L'analisi semantica degli italianismi della parlata di Nin

Nel nostro lavoro cercheremo di analizzare gli italianismi della parlata di Nin raccolti nel vocabolario Rjecnicko blago ninskog govora (Ljubomir Maštrovic, Zagreb: 1957) dal punto di vista della linguistica di contatto. Esamineremo i dati in base a parametri di natura semantica ed opereremo alcune generalizzazioni sulla sinonimia e sulla diversit à del significato delle forme fornite dal vocabolario consultato, cioè i cambiamenti semantici dei prestiti nella lingua ricevitrice. Nella nostra ricerca utilizzeremo una concezione autonomistica dell'unit à lessicale che si trova alla base di importanti analisi lessicali come la teoria dei campi semantici che ci permette di definire la tipologia delle relazioni che connettono le unità lessicali.

 


Ulderico Pietrantonio

Università di Urbino (IT)

 

 

Personaggi, musica e matrici autobiografiche: tre facce del doppio in Fantasmi di Vincenzo Cerami

 

Le dinamiche e le matrici del doppio, sia a livello espressivo che a livello compositivo, appaiono le strutture portanti sulle quali regge l'intero impianto narrativo di Fantasmi (Einaudi, 2001), ultimo lavoro di Vincenzo Cerami. La topica delle immagini speculari, delle maschere, dei travestimenti e delle duplicazioni simulate emergono prepotentemente nell'intreccio delle vicende e delle espressioni interiori di cui si fa portavoce Morena, la protagonista del romanzo; sin dalle prime pagine la scopriamo fortemente insoddisfatta, alla continua e spossante ricerca di una sua dimensione e di una sua realtà in cui vivere pienamente, immersa in uno spazio che amplifica all'inverosimile le sua voglie di identità nuove e sempre differenti. La continua metamorfosi appare come l'essenza vitale di Morena, la forza creativa dell'intera sua vicenda che genera la storia e dirige gli eventi; le figure che si affollano attorno a lei sono inevitabilmente ridotte a ruoli marginali, immagini sullo sfondo. Ma è esattamente questa dimensione che preclude la felicità di Morena, la pone dinnanzi al suo costante smarrimento e alla consapevolezza di vivere in una realtà costellata di fantasmi, con compagni di viaggio finti, artefatti, spiriti informi. Se per Pirandello la personalità umana appare fortemente sfaccettata e i protagonisti delle sue opere mostrano volti e atteggiamenti differenti in relazione a situazioni e interlocutori, Cerami ci offre un personaggio capace di vivificare e rendere concrete queste sfaccettature, tentando di viverle fino in fondo, in ogni attimo della sua vita. Ecco allora che Morena si trasforma in Angela prima, poi in Gabriella cercando di vivere vita, esperienze e situazioni sempre nuove, il tutto sempre alla ricerca d'una utopica perfezione; Morena fugge a se stessa anelando identità altre, dal momento che la dimensione che la circonda appare instabile e «i nostri sono tempi in cui non c'è più cronologia, non c'è più diacronia. Si vive schiacciati sul presente. Lei cerca una pedagogia, una piccola costellazione di elementi che possano farla sentire viva[6]». 

Se nella figura di Morena e nelle sue molteplici trasformazioni avvertiamo la consistenza poliedrica del doppio, sul piano strettamente compositivo la dimensione plurale del romanzo di Vincenzo Cerami s'intravede nella filigrana armonica che costituisce l'asse segnico dell'intera vicenda; romanzo sulla fuga, sul desiderio di essere altro e di cercare altrove quello che inevitabilmente è sfuggito dalle mani fin ora, Fantasmi si presenta al lettore diviso in quattro movimenti esattamente come una sinfonia, con un impianto armonico ben delineato, risultando, in tal modo, orchestrato dall'autore con un metodo di lavoro analogo a quello di un compositore. La dimensione narrativa viene a sovrapporsi in maniera bivalente a quella armonico-musicale svelando un'affinità con l'armonia e con la concatenazione e la sequenza degli accordi che danno respiro e palpito all'opera musicale.

L'ultima ed interessante dimensione relativa alla caratterizzazione duplice e poliedrica del romanzo è ravvisabile nella matrice autobiografica da cui sono investiti taluni personaggi (nel ritratto di Costanzi s'intravede l'ombra possente di Pasolini, maestro e mentore di Cerami). Potremmo con tutta probabilità definire quest'opera un'autobiografia letteraria dal momento che l'autore ha scelto di riversare sulla sua scrittura il vissuto personale, ma non inteso come esperienza diretta, bensì come patrimonio di conoscenza e di elaborazione della realtà.

Livello narrativo, compositivo e matrice autobiografica risultano essere dunque i tre ambiti entro i quali il romanzo di Cerami conferisce dimensione alle dinamiche inconoscibili ed indiscriminate del doppio, inteso sia come elemento d'approccio conoscitivo ed esistenziale, sia come alveo generativo della scrittura narrativa. Edificato sulle tipologie della pluralità e dell'assenza, Fantasmi tenta di conferire corporeità all'urgenza di risposte in un universo frammentato e insondabile dove la verità di ciò che è più vicino si sgretola in un pulviscolo di esperienze e dove, in lontananza, si scorge la linea di un mondo in conflitto fra talento e mediocrità, destino individuale e collettivo.

 


Antonela Pivac

Liceo linguistico, Split (HR)

 

 

Il doppio due (in base al Due di due di Andrea de Carlo)

 

               L' intenzione e' di dimostrare la complementarieta' tra individui aparentemente tanto diversi, sia fisicamente, che mentalmente. Un individuo ha bisogno dell' altro, il suo doppio, lo protegge, si sfoga e si autorealizza.  La mutazione psicologica alla fine porta alla morte.

 

Anna Mura Porcu

Università di Cagliari (IT)

 

 

Il doppio nella lingua e nello stile del romanzo barocco

 

Il nuovo genere del romanzo barocco si presenta nei primi decenni del Seicento italiano ed europeo con una ricchissima produzione tra prime edizioni e ristampe. In Italia le città di Venezia, Bologna, Genova furono i centri principali di un genere ‘nuovo'in cui si amalgamano temi e aspetti di generi tradizionali diversi (dal poema cavalleresco alla novellistica, dalla lirica e dalla pastorale alla storiografia e all'oratoria) e differenti soluzioni stilistiche. Su un piano generale è percepibile nella lingua della prosa narrativa seicentesca un duplice orientamento: il primo tende a conservare scelte linguistiche tradizionali, a causa dell'aspirazione da parte degli autori a inserirsi nella tradizione letteraria con un'opera decorosa e colta; il secondo intende proporre soluzioni innovative sia nella lingua che nello stile. Mentre appaiono inserite nel solco della tradizione le forme fonetiche e morfologiche, anche con la caratteristica duplicità di soluzioni tipica della prosa letteraria alta preseicentesca (del tipo core/cuore, aveva/avea ecc.), sono soprattutto i settori del lessico e della sintassi a presentare le tracce più evidenti della volontà di un rinnovamento stilistico. Per quanto riguarda in particolare la sintassi, un buon numero di romanzi, pubblicati soprattutto a Bologna e Venezia e di autori per lo più legati all'Accademia degli Incogniti, presenta le modalità del cosiddetto stile tacitiano-senechiano, stile basato sulla brevitas che tende a sostituire l'ampio giro frasale e periodale tipico della scrittura boccacciana. Nell'ambito di periodi poco estesi, formati da poche frasi giustapposte o anche da una sola frase, emerge facilmente il gioco dell'antitesi immediata e tagliente, forma retorica privilegiata nei nostri romanzi. L'ornatus, presente ovviamente in tutti i romanzi barocchi, si esprime nei testi da noi considerati (per es. nel Cretideo di G. Battista Manzini) più che nella creazione di ‘figure di senso' (anche se metafore, iperboli, metonimie non mancano certo nel romanzo), soprattutto nella ricerca insistita a livello sintattico di cotrapposizioni e in particolar modo di  reduplicazioni di forme in strutture anaforiche e generalmente binarie: dittologie, parallelismi,simmetrie, con un effetto caratteristico di ridondanza e amplificazione, che controbilancia la sostanziale brevità e linearità della frase.


Ivana Profaca

Università di Zadar (HR)

 

 

La figura della «maschera» in La grande Eulalia di Paola Capriolo

 

L'argomento che verrà trattato nella presente comunicazione è la trasformazione della protagonista che subisce una completa metamorfosi calando in un altro io che non le è del tutto estraneo. In altri termini, si tratta della proiezione cioé la tendenza del soggetto a riversare nel mondo esterno gli impulsi che non riesce a dominare, i sentimenti che rifiuta in sé e i desideri inconsci che diventando consapevoli sarebbero disturbanti.


Patrizia Raveggi

Istituto Italiano di Cultura di New Delhi (India)

 

Italia, India d'Europa

 

Similitudini culturali e linguistiche, caratteriali ed artistiche, annotate ed analizzate dagli innumerevoli studiosi e religiosi, scrittori ed artisti europei ed italiani, che dal Rinascimento ai giorni nostri hanno a lungo soggiornato in quella parte dell'Asia abitata in prevalenza da popolazioni indo-ariane, che noi chiamiamo India ed i suoi abitanti chiamano Bharat. L'India, unita all'Italia (all'Europa) da un filo ininterrotto, intrecciato di molti elementi che nei secoli variano e si aggiungono alla trama, sta diventando oggi  un luogo al di là della storia, al di là della geografia. Il luogo dove si trovano e si verificano le radici dell'io e ci si accosta alla natura ed agli altri esseri con un senso di fratellanza, di profonda tolleranza.


Vittorio Roda

Università di Bologna (IT)

 

 

Io presente ed io passato a confronto: sondaggi su una variante del doppio

 

               Le varianti del doppio letterario sono numerose. Fra di esse merita un'attenzione particolare il doppio come sinonimo di passato,come incarnazione d'una parte di sé oramai uscita dagli orizzonti dell'oggi. Alcuni scrittori di casa nostra – Pascoli, Verga, Pirandello, Papini – fanno uso di tale variante, declinandola peraltro in modi diversi. Il sé passato può essere oggetto ora d'ammirazione (Pirandello) ora di critica; e la critica può metter capo ora ad un vero e proprio odio (Papini), ora ad un atteggiamento di commiserazione nei confronti del proprio passato, sentito come sfortunato ed infelice (Verga, Pascoli). Il Pascoli va anche oltre: nel senso che di quel passato infelice gli accade d'ipotizzare una riforma, una correzione, un possibile recupero in forme diverse e più amabili.

Filippo Salvatore

Concordia University, Montreal (CAN)

 

 

A computer's prank leads to murder in Umberto Eco's Il Pendolo di Foucault

 

Written between 1981-1988, Il Pendolo di Foucault is Umberto Eco's second novel. It is a composite work, the result of the reading of hundreds of volumes on exoteric topics. The novel is divided into ten sections ( as many as the Sefirot of the kaballah, that is the attributes through which God reveals himself); it is made up of 120 chapters ( the number that ought to exist between the six clandestine appointments of the Templars after the destruction of the Order). Each chapter is preceded by a quotation taken from diverse sources ( cases for misleading over-interpretations).

Il Pendolo is a rich and fascinating inventory of concepts related to mystery. The plot of the novel plays with imagined historically revealing dates and becomes a game through time and space, a back and forth swing between illusion and reality, between passion and reason, between truth and falsehood, between spirit and matter. The plot of the novel is essentially a philosophical disputation on the meaning to give to an invented and inexistent plan to dominate the world by means of a tool, the Pendulum, that enables to locate the spot on the surface of our planet from where the underground telluric currents can be contrasted and the climate be determined.

Such a plan does not exist and the novel's main characters, Casaubon, Jacopo Belbo and Diotallevi, are fully aware of it. Yet they behave as if one did exist after Ardenti shows them a mysterious document dealing with the Order of the Templars.  They do not believe in mystical connections and to begin with think of the Plan for world domination as a prank. Little by little the three editors of the Garamond publishing house, let themselves  be caught in exoteric and occult historical and conceptual connections. They simply start over-interpreting every word using the word processor Abulafia. The computer  enables them to link completely unrelated meanings and events and leads them to over-interpretations and to the sin of hubris( especially in the case of the jew Diotallevi). The inevitable result is death.

Il Pendolo ends up being an extended epistemological metaphor on the impossibility of discovering the epiphany of the absolute. Only on the verge of their death, a form of inevitable retribution for their human hubris, do the characters, Jacopo Belbo in particular, acquire a premonition of the meaning of the “ punto fisso metafisico”. ( The same is true for Roberto della Griva in L'Isola del Giorno Prima). In the intricate network of mysteries or of  misleading interpretations that exoteric and occult “sciences” pretend to provide, the only relative certainty that can be acquired, if one remains close to basic  common sense and logic as Lia does, is that there is no truth and the Absolute is only a fleeting epiphany.  


Mila Samardžiæ

Università di Belgrado (SR)

 

 

Polisemia nel sistema congiunzionale italiano

 

La polisemia è uno dei principali fenomeni della semantica. Nella semantica tradizionale però di solito vengono trattate cosiddette "parole piene" che dispongono di un significato "lessicale", mentre le congiunzioni, considerate parole "vuote" che stabiliscono rapporti sintattici, vengono trascurate con insistenza. A pronomi, congiunzini, articoli, preposizioni viene assegnata una minore funzione semantica. Le congiunzioni, come articoli e preposizioni, vengono considerate semplici strumenti sintattici, come sono intonazione, ordine delle parole ecc. Secondo queste distinzioni, le congiunzioni andrebbero classificate nelle parole con il significato grammaticale, ossia parole "vuote", essendo ovvia la loro funzione primaria di collegare parole, frasi, porzioni del testo e metterle in diverse relazioni.

Tuttavia la nostra ricerca ha mostrato che anche le congiunzioni come altre forme grammaticali hanno un proprio significato e in alcuni casi possono addirittura avere due o più significati diversi.


Antonio Donato Sciacovelli

Scuola di Studi Superiori «Daniel Berzseny», Szombathely (H)

 

 

Forme del "doppio" nel Decameron

 

Una delle possibili chiavi di analisi dei rapporti tra le unità narrative che compongono il capolavoro del Certaldese, è proprio il «doppio», nella incredibile quantità di forme in cui si presenta, alcune delle quali già in passato individuate dalla critica (Segre, Mazzacurati, Porcelli): a cominciare dal doppio piano narrativo che la «cornice» individua rispetto alle novelle raccontate, sono evidenti i rapporti tra novelle raddoppiate quanto allo schema narrativo di base (Andreuccio e Salabaetto, ad esempio), i raddoppiamenti delle vicende sui piani di realtà e narrazione (la storia “reale” di Alatiel e quella che racconta a suo padre), le sostituzioni ed i travestimenti che raddoppiano funzioni ed identità di alcuni personaggi (come accade per Ginevra o per Giletta di Nerbona), le risorse anfibologiche di certuni oratori (è il caso di Frate Cipolla, o di Bruno, Buffalmacco, Maso del Saggio).

Partendo da un possibile «inventario» delle forme di «doppio» riscontrabili nelle letture singole o incrociate delle novelle, tenteremo di descriverle e di esemplificarle in maniera esaustiva, nel corso della nostra relazione.


Sylwia Skuza – Bialousz

Università di Nicolò Copernico a Torun (PL)

 

Il doppio volto della donna nella paremiologia italiana

 

            In questa comunicazione presenteremo i risultati della ricerca sulla paremiologia italiana. Lo scopo principale del lavoro svolto sarà di analizzare la paremiologia sulla donna ed in conseguenza dedurre quale è la sua immagine stereotipata racchiusa in essa. Attraverso l'analisi di centinaia di proverbi siamo giunti alla conclusione che l'immagine della donna nella paremiologia italiana è sia positiva che negativa, ma quella seconda sembra più forte e visibile.

La prima parte di questa comunicazione sarà dedicata all'analisi linguistica dei proverbi positivi sulla donna che vengono divisi in gruppi, ogni gruppo racchiude un elenco di proverbi rispecchianti un dato tratto positivo attribuito alla donna. La seconda parte invece vi mostrerà i proverbi analizzati in base ai tratti negativi che essi attribuiscono alla donna.

Sicuramente dall'analisi di questo numeroso materiale paremiologico vi emergerà l'immagine della tradizione, del costume e del pregiudizio dei tempi in cui nascevano e funzionavano i proverbi. Per molti secoli l'uomo, servendosi di proverbi conservava e trasmetteva alle generazioni seguenti il mondo stereotipato in cui la donna di solito non godeva né di molta simpatia né stima; cominciando dalle origini bibliche dove: La donna è l'origine di tutti i mali. Questo mondo è sopravvissuto intatto per molti secoli e noi, usando oggi i proverbi, trasmettiamo alla nostra realtà l'immagine della donna dal doppio volto dove prevale quello negativo.


Jacqueline Spaccini

Zagreb (HR)

 

L'Artemisia di Anna Banti, grido lacerante dell'anima sua

 


Antonella Stefinlongo

Università Roma Tre (IT)

 

 

Il giornale quotidiano e il suo doppio on line. Osservazioni linguistiche e testuali

 

            La grande espansione della comunicazione telematica ha spinto, fin dagli anni Novanta, diverse testate giornalistiche a proporre la lettura in internet delle pagine dei loro quotidiani. Inizialmente la versione on line del giornale quotidiano doveva limitarsi a ripetere fedelmente -  almeno per quanto riguarda il contenuto testuale, un po' meno per gli aspetti grafico-iconici - il suo modello: era, insomma, sostanzialmente, un doppione virtuale del quotidiano cartaceo.

            Questa esibita specularità, tuttavia, si rivelò ben presto solo apparente. Il passaggio dalla carta al computer, infatti, produce una tale alterazione dei rapporti vigenti nel sistema comunicativo tradizionale da modificare il prodotto finale. Il primo rapporto ad essere modificato è proprio quello – fondamentale nella comunicazione giornalistica - fra autore(/editore/testata/giornalista) e lettore, che non è più così garantito e sicuro (chi è infatti l'autore se spesso gli articoli non sono firmati? e chi può essere mai il lettore?), anche se, in compenso, è aperto al dialogo virtuale o “interattivo”, come si dice. Anche il sistema dei riferimenti situazionali e intertestuali (quello che si definisce abitualmente l'“enciclopedia” o “il mondo interiore” del lettore) si è dilatato e si dilata continuamente a dismisura, grazie alla possibilità di collegarsi con altri siti e di “ripescare in profondità”, cioè in archivio, dati, informazioni, testi attinenti e collaterali all'argomento che si intende approfondire.

            Ma ciò che ha subito sicuramente un cambiamento notevole, forse epocale, è l'aspetto linguistico del quotidiano,ovvero lo stesso modo di progettare e di produrre i testi giornalistici e l'uso concreto della lingua che ne consegue. La forte esigenza di visibilità e leggibilità del testo telematico sta infatti costringendo i giornalisti internet ad adottare un tipo di scrittura caratterizzata da architetture testuali “leggere”, articolate in brevi paragrafi dalla sintassi essenziale e dal lessico comune e trasparente.

            Nella relazione che propongo di svolgere intendo soffermarmi pertanto, oltre che sulle ragioni di fondo che hanno portato a questo diverso uso della lingua scritta, soprattutto sugli aspetti tecnici e operativi di questa scrittura e sulle ricadute che essa sembra già avere sul complesso del sistema della comunicazione scritta. A partire da quella giornalistica a stampa che, da modello originale che era, sembrerebbe così essere diventata, quasi, copia del suo doppio.


Larissa Stepanova

Istituto di studi Linguistici di San Pietroburgo (R)

 

 

La doppia funzione del testo poetico: il Petrarca e la codificazione grammaticale nel primo Cinquecento

 

La fortuna del Petrarca come il modello linguistico e grammaticale (non poetico) si inaugura al inizio del secolo con l'edizione delle Cose volgari di Messer Francesco Petrarcha (aldina 1501), l'opera di Pietro Bembo, ispirata alla fondazione di una norma linguistica, che verrà poi razionalizzata nel suo trattato Prose della volgar lingua, il terzo libro del quale, è dedicato, come si sa, alla grammatica italiana. La prima – nella storia delle letterature romanze – edizione critica del testo volgare suscitò molte polemiche dalla parte del lettore coevo, la cui reazione spontanea dimostra che il fenomeno della “dopia verità”, intesa entro la formula avalliana, fu intuito immediatamente dal consumatore del testo petrarchesco preoccupato a quell'epoca non tanto dei problemi della critica testuale, quanto di quelli concreti dell'uso linguistico regolare.

Tra varie fonti ben conosciute (come, ad es., le prime grammatiche italiane ed i commenti rinascimentali al Petrarca) e altre testimonianze dell'opposizione alle forme linguistiche raccomandate dal Bembo sia nella sua prattica editoriale che nel trattato teorico, un posto particolare spetta al campo non esplorato ancora sistematicamente di vari appunti e note lasciati dal lettore empirico in margine della letteratura grammaticale che sono riperibili negli esemplari superstiti. Ho avuto la fortuna di ritrovare nella Biblioteca dell'Accademia delle Scienze di San Pietroburgo un esemlare dell'editio princeps delle Prose di P.Bembo (Venezia, 1525) fittamente postillato da un dotto napoletano contemporaneo al Bembo. Le annotazioni marginali dell'anonimo sono relative solo al terzo libro del trattato bembiano e nel presente lavoro mi limiterò ad esaminare i varianti alternativi della norma grammaticale, ricavati dal Bembo e dal suo opponente dalla stessa fonte – dal testo poetico del Petrarca, che toccano la morfologia nominale e verbale, la sintassi del articolo e del pronome personale, l'uso di congiunzioni ecc.


Marianna Szalai

Scuola di Studi Superiori «Daniel Berzseny», Szombathely (H)

 

 

Doppie vite: dal meccanismo narrativo tradizionale della perdita d'identità, alla vita vissuta due volte di Aniceto  (Alberto Savinio, Casa La Vita)

 

Tra i meccanismi tradizionali della narrativa antica e moderna troviamo il motivo della doppia vita intesa come perdita di una identità storica, reale, anagrafica, cui fa seguito l'assunzione di una identità fittizia o quantomeno “quasi autentica” (dalla novella di Ciappelletto al Fu Mattia Pascal, per citare soltanto due esempi illustri). Uno degli autori più complessi del Novecento italiano, Alberto Savinio, ha fatto della riflessione sulla identità umana uno dei motivi principali della sua opera letteraria ed artistica. I suoi personaggi hanno sempre un “doppio”, che diviene esistenzialmente indispensabile, quando entra nel tessuto della vita stessa.

In una sua opera che porta nel titolo il riferimento all'esistenza, Savinio illustra la “vita vissuta due volte” di Aniceto, ovvero vissuta, nel corso della narrazione, sia a livello cosciente che a livello incosciente: i segni riconosciuti dal protagonista nel corso del suo procedimento esistenziale permettono il ricongiungimento, a conclusione dell'opera, delle due vite, in una doppia morte!

La relatrice, partendo dall'esame testuale dell'opera, illustra le modalità di questo affascinante percorso narrativo.


Joanna Szymanowska

Università di Varsavia (PL)

 

 

Dalla storia dipinta al racconto visivo. Gli autoritratti pittorici e letterari di Giorgio de Chirico

 

               Nella mia relazione intendo soprattutto analizzare due testi narrativi di Giorgio de Chirico, Ebdomero (1929) e Il Signor Dudron (1940), ambedue sintomatici del suo tentativo di tradurre pittura in scrittura, giocando sulla dialettica tra l'immagine vera e quella fittizia, tra la persona reale e la sua rappresentazione speculare. A dirla con Jean-Luc Nancy, "Il ritratto non consiste semplicemente nel rivelare un'identita di un "io"[...] L'identita del ritratto e interamente nel ritratto stesso." Secondo la logica di una mimesis contraddittoria, l'autoritratto dechirichiano si rivela verita e inganno, e l'autobiografia del pittore-scrittore-filosofo diventa una specie di complicata costruzione del suo doppio mitico. La ricerca dell'autenticita, della verita dell'io dell'autore impercettibilmente si tramuta nel proprio contrario e porta alla scoperta dell'autore come finzione, come un doppio elusivo e mutevole di se stesso.


Ewa Tichoniuk

Università di Katowice (PL)

 

 

Il doppio doppio - caso di Primo Levi

 

Primo Levi è uno dei più famosi e più letti scrittori italiani del Novecento, sia in Italia che all'estero[7].). L'originalità e il valore della sua opera hanno le loro origini senz'altro nell'eclettismo (nel positivo senso del termine) e nell'eterogeneità della formazione dell'artista, che a loro volta hanno la loro fonte nelle sue vicissitudini. Levi – dottore in chimica, che lavora nei laboratori presso le fabbriche di vernici, scoperto in sé un bisogno violento di dare testimonianza delle sue esperienze auschwitziane diventa scrittore. Essendo un assimilato ebreo torinese, solo nel Lager conosce l'ortodossa cultura giudaica, della quale prima non sapeva nulla. Avendo una mente esercitata nelle scienze esatte, non si lascia trasportare dalle emozioni, perfino parlando del genocidio; ne trae invece delle conclusioni e avvisa dei pericoli potenziali. Ispirandosi sul piano artistico alle proprie vicende, non rifiuta il gioco intertestuale con altri scrittori né il riportamento  di miti e topoi stabiliti nella culturale eredita` europea, ma anche quelli nell'appena conosciuto giudaismo. Dividendo il tempo fra lo scrivere, il lavoro nel laboratorio e la famiglia, si impegna a fare traduzioni sia delle dissertazioni scientifiche (tra l'altro di Gilman, di Lévi-Strauss), che delle opere letterarie (di Heine, di Kafka e di altri), rilascia molte interviste e viaggia molto per poter incontrarsi con i suoi lettori di diversi Paesi. È una persona mite e modesta, ma la sua lotta solitaria per tornare alla vita, alla normalità postbellica, finisce con suicidio.

Levi è una creatura della macabra storia novecentesca, un figlio scientifico della pace e artistico – della guerra e del Lager, una risultante della laica cultura italiana e quella ebrea tradizionalmente, dove la multiculturarietà si trasforma nella sovraculturarietà, e l'identità nell'alienazione, è un degno erede del patrimonio europeo sia letterario che quello strettamente scientifico, un relatore oggettivo e un accusatore dei carnefici, un osservatore e un visionario, unito al margine della società e respinto al margine, è un ibrido, un anfibio, un centauro[8]. Addirittura - un centauro dimezzato, il quadruplo.


Valter Tomas

Università di Zadar (HR)

 

 

Come veniva tradotta “Hasanaginica” in lingua italiana

 

L'epoca dell'illuminismo europeo che con il suo germe preromanticista farà crescere un nuovo rinascimento dei “grandi” come anche dei “piccoli” popoli, in Croazia portò alla luce del giorno, tra l'altro, la “Hasanaginica” (1774.) di Fortis (sic) e la sua traduzione italiana “Canzone dolente della nobile sposa d'Asan Aga”. Seguiranno traduzioni di questa magnifica ballata popolare anche in altre lingue europee. Il fatto per noi rilevante è che  Fortis viene, quasi subito, seguito da altri traduttori italiani. Così nel primo periodo del romanticismo dalmata troviamo la traduzione italiana di Nikola Jakšic della prima metà dell'Ottocento. Dopo quasi cento anni da Jakšic, anche Petar Kasandric è dell'opinione di dover affrontare tale sfida, e dopo un secolo lo stesso viene ripetuto da Arturo Cronia (1949.).

Differenti percezioni storiche, letterarie-culturali e linguistiche di una idea vichiana dovevano dare diversi frutti linguistici, “nel senso più ristretto della parola”, stilistici. Tale molteplice percezione al livello di “il senso del doppio” sarà oggetto dell'analisi dei suddetti sforzi traduttivi dove anche l'originale verrà trattato come “doppio” in quanto non esiste una sua unitaria forma scritta.


Danijel Tonkiæ

Università di Split (HR)

 

 

Deissi e atti linguistici nel dramma La piscina nel cortile di Carlo Maria

 

Gli argomenti che verranno trattati in questo contributo, che l' autore vorrebbe presentare al Convegno Internazionale « Il doppio nella lingua e nella letteratura italiana», sono:

 

1.                   La deissi e le condizioni di verità nel dramma La piscina nel cortile di Carlo Maria Pensa

2.                   La deissi personale

2.1  Io come centro di riferimento (origo)

2.2  Dall' io all' altro – declinazione dell' identità

             Riconoscimento dell' altro: Tu che prende l' iniziativa, Tu che si fa riconoscere, Tu creatore a cui si deve riconoscenza

 

3.   La deissi sociale

3.1 L' identificazione dell' altro

3.2 La simmetria e asimmetria deittica del rapporto sociale

 

4.  La deissi spaziale e la deissi temporale nel dramma La piscina nel cortile


Michela Toppano

Université d'Aix-Marseille (FR)

 

 

La figura del doppio e la modernità in Federico De Roberto

 

L'obiettivo di questa comunicazione è l'analisi della figura del doppio in Federico De Roberto (1861-1927). Autore siciliano emigrato a Milano, erede della lezione verista ma, nello stesso tempo, interessato alla rappresentazione psicologica, De Roberto si mostra particolarmente sensibile alle problematiche caratterizzanti quel periodo di transizione che è la seconda metà dell'Ottocento. Così, il tema del doppio in De Roberto diventa un punto di vista privilegiato per analizzare come, attraverso questa figura, si manifestano alcune delle tensioni caratteristiche del periodo.

Da un lato, la figura del doppio riveste delle valenze euforiche, quando si presenta sotto forma di una proiezione del soggetto sull'ambiente circostante. Le figure privilegiate per questo tipo di proiezione sono : lo specchio, le figure dell'intimismo[9] (gli oggetti desueti, la casa, il giardino) e il paesaggio malinconico. L'individuo tende infatti a proiettare sul mondo inanimato i propri valori e i propri affetti per renderlo abitabile. Così, le cose circostanti finiscono per costituire un universo modellato a sua immagine e somiglianza : l'ambiente diventa accogliente, riceve valore dall'individuo e gliene conferisce. Gli esempi analizzati provengono da diverse opere : le raccolte Documenti umani (1889) e L'Albero della scienza (1890), i romanzi L'Illusione (1891) e Spasimo (1898).

D'altra parte, il doppio si associa a un sentimento di estraneità, di angoscia e inquietudine quando simbolizza la difficoltà dell'individuo a definirsi. In effetti, una volta perduti i punti di riferimento tradizionali, che facevano coincidere l'identità del singolo col suo statuto, l'essere del personaggio deve essere faticosamente ricostituito attraverso nuovi parametri.  I motivi del doppio che permettono la messa in scena di questa difficoltà sono la scissione interna del personaggio (I Vicerè, 1894, Ermanno Raeli, 1889) ; la ricorrenza di personaggi quasi identici nella raccolta di racconti Processi verbali, (1890) ; infine l'opposizione di personaggi, di cui l'uno rappresenta il rovescio oscuro dell'altro (sempre in Processi verbali).

In questo modo l'analista può cogliere la complessità del rapporto che De Roberto instaura con uno dei valori della modernità descritti da Norbert Elias : il principio d'individualizzazione, il quale consiste nel processo secondo il quale « […] la costituzione di una sfera d'esistenza privata, sottratta alle regole che governano i comportamenti pubblici, diventa il rifugio dell'intimità, pertanto il luogo privilegiato d'iscrizione della singolarità del soggetto. L'affermazione dell'irriducibile originalità del proprio io, il primato concesso ai valori dell'interiorità, l'idea secondo la quale l'essenza della persona si esprime nel comportamento privato sono altrettante figure, pensieri e vissuti della dissociazione operatasi tra individuo e società »[10]. Rispetto a queste evoluzioni, il tema del doppio in De Roberto presenta dunque un aspetto ambivalente : esso rimanda, da un lato, al piacere euforico della contemplazione narcisistica, dall'altro, al motivo disforico dell'ansia e della difficoltà di definirsi.


Pietro Trifone

Università per Stranieri di Siena (IT)

 

 

Lingua scritta e lingua parlata nella storia e nell'attualità dell'italiano

 

Solo nel Novecento l'italiano è diventato patrimonio comune degli italiani, mentre per tutti i secoli precedenti è stato invece attribuzione esclusiva di una ristretta fascia di letterati e di persone colte. Anche questi pochi privilegiati dovevano del resto fare continuamente i conti, nell'uso effettivo della lingua, con i vari idiomi locali, dominatori indiscussi della comunicazione parlata così nel Settentrione come nel Mezzogiorno d'Italia. La rigogliosa vitalità dei dialetti e, d'altro canto, la progressiva ascesa quale lingua nazionale di un italiano scritto basato sul fiorentino letterario del Trecento, che però ha stentato moltissimo a diffondersi nell'uso parlato, costituiscono senza dubbio i principali caratteri distintivi di gran parte della storia linguistica italiana. Leopardi e Manzoni, da punti di vista diversi, hanno avvertito con chiarezza il problema della mancanza in Italia di una lingua per la conversazione, e hanno sottolineato con forza le gravi implicazioni sociali e culturali di questo limite al dialogo tra gli individui. Nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'Italiani, Leopardi mette addirittura in rapporto l'inesistenza di una civiltà della conversazione con un'attitudine tipicamente italiana al cinismo, così spiccata da inibire lo sviluppo di un autentico sentimento di «amore scambievole sì nazionale che generalmente sociale». In altri termini, l'incapacità o l'impossibilità di conversare hanno frenato i processi di elaborazione di una comune identità civile degli italiani, rendendo più difficile il superamento dei particolarismi e, quindi, ostacolando la formazione di quel codice di abitudini e di regole condivise su cui si fondano le reti della convivenza pubblica e della fiducia collettiva.

I progressi della società moderna si riflettono positivamente sull'uso dell'italiano, che si diffonde presso strati più ampi della popolazione e diviene finalmente lingua parlata oltre che scritta. La “democratizzazione” linguistica in atto porta a considerare in modo meno severo di un tempo una serie di forme e strutture tipiche dell'italiano parlato, tradizionalmente escluse dall'italiano scritto perché censurate dalla grammatica normativa: il pronome lui in funzione di soggetto è definitivamente riabilitato; l'uso di cosa al posto di che cosa nelle interrogative o di che al posto di in cui nelle temporali (il giorno che ci incontrammo) non scandalizza più nessuno; il tipo a me mi piace, di tono colloquiale, diviene il titolo ammiccante di una rubrica del dotto supplemento domenicale del «Sole-24 ore». L'impiego citato di a me mi in una sede di prestigio è riconducibile alla notevole frequenza, soprattutto nella stampa quotidiana e periodica, di «testi misti», caratterizzati dalla contaminazione di diversi piani culturali e dei corrispondenti modelli linguistici. Per una sorta di nemesi storica, il parlato si prende una rivincita sullo scritto, rischiando però di depauperare la lingua delle sue forme più raffinate e complesse, data anche l'inarrestabile tendenza a sostituire, in un numero sempre maggiore di circostanze, l'uso sorvegliato della scrittura con il chiacchiericcio del telefono cellulare o della chat.


Anna Tylusinska

Università di Varsavia (PL)

 

 

Il doppio volto del teatro romantico italiano: missione storica e realtà politico-artistica delle opere teatrali del primo Ottocento

 

            Il teatro romantico italiano ereditò dall'Alfieri le ambizioni a creare teatro politico situando al centro dell'opera teatrale eroi ed eroine portatori di idee di libertà dell'individuo, della comunità, della nazione. Il teatro post-alfieriano in Italia è impregnato di oratoria monologizzata ma non si presenta unacamente in quanto teatro politico. Sotto veste storica, giacché i tempi essendo politicamente sfavorevoli allo sviluppo della libera creazione artistica, i maggiori autori delle tragedie romantiche allestite poi sulle maggiori scene italiane aderiscono alla realtà attraverso allusività e simbolismo letterario. Così il teatro del primo Ottocento diventa lo strumento di propaganda, mezzo di diffusione idee patriottiche ben celate dietro episodi dalla storia patria, dalla storia biblica. Il pubblico applaudisce fervosamente le messe in scena delle maggiori tragedie di Pellico, Niccolini, Marenco, Giacometti, Montanelli. Gli autori diventano eroi nazionali, non curanti della censura portavoci di idee risorgimentali. Gli eccellenti attori dell'epoca, tra cui Gustavo Modena, Carlotta Marchionni, l'indimenticabile Adelaide Ristori, Tommaso Salvini, Ernesto Rossi, convinti della loro vocazione di esportare quella fetta della cultura italiana che va dall'Alfieri al teatro romantico nazionale, vanno in missione educatrice non solo in tournées europee bensì oltreoceano (le due Americhe, Australia, Nuova Zelanda, ecc.) e portano idee di libertà patria agli emigrati politici, ai popoli oppressi anch'essi e ridotti a schiavitù. Il doppio volto del teatro italiano del primo Ottocento induce alla riflessione sul posto dell'Italia tra le nazioni europee, si presenta originale sullo sfondo del teatro in Europa di quell'epoca. È un teatro, poi che sfiorando appena il problema dei limiti della libertà dell'uomo, dell'identità dell'individuo nella realtà a lui ostile, in qualche misura ispirerà le pessimistiche soluzioni, quasi un secolo dopo, di un grande maestro del Doppio e uno dei padri del teatro moderno europeo, Luigi Pirandello.


Davy Van Oers

Università di Utrecht (B)

 

 

Memorie inutili (1797) di Carlo Gozzi e Carlo Gozzi di Renato Simoni (1903)

 

Per svariati motivi, Carlo Gozzi occupa con le sue Memorie inutili un posto più isolato dentro il novero della tardosettecentesca autobiografia “romanzesca” veneziana (Gozzi, Goldoni, Casanova, Da Ponte). In confronto alla fortuna europea, e addirittura mondiale, delle autobiografie di Goldoni, Casanova e Da Ponte, Gozzi è rimasto per molto tempo dietro le quinte: una prima ristampa delle sue Memorie inutili (1797) è del 1910, seguita da un'altra parziale nel 1928. La poca fortuna editoriale e critica delle Memorie inutili e, più in generale, una mancanza di interesse per lo scrittore più retrivo del Settecento veneziano, è durato almeno fino alla fine degli anni settanta del secolo scorso (Luciani 1977 e 2001). Solo da qualche decennio si studia l'autobiografismo gozziano in tutte le sue svariate sfaccettature, con di recente una edizione critica delle Memorie inutili a cura di Bosisio (2003).

In occasione di questa recente riedizione e dell'odierno interesse per Carlo Gozzi, ci si vorrà soffermare su un particolare doppio. Nel 1903 il critico veronese Renato Simoni scrisse una commedia in veneziano, Carlo Gozzi, dando forma teatrale ad alcuni episodi che lo stesso Gozzi ha narrato nelle sua autobiografia. Verranno messe a confronto alcune scene della commedia di Simoni con alcune pagine delle Memorie inutili per indagare il rapporto esistente tra i due testi.   


István Vig

Scuola di Studi Superiori «Daniel Berzseny», Szombathely (H)

 

 

Calchi nell'italiano di Fiume su modelli ungheresi

 

            Passata nel 1868 all'Ungheria, Fiume/Rijeka fece parte del Regno d'Ungheria fino al 1918, anno in cui la Monarchia Austro-Ungarica si disgregò. La città, godendo di una notevole autonomia a livello amministrativo, si faceva rappresentare rispettivamente da un deputato nella camera dei deputati e dal governatore della città nel senato del parlamento ungherese. Nella città in cui la lingua ufficiale dell'amminsitrazione era l'italiano letterario, vigevano le leggi ungheresi. Grazie alla politica economica dei governi ungheresi Fiume/Rijeka conobbe un notevole sviluppo economico e infrastrutturale, quale unico porto marittimo dell'Ungheria.

            In tale contesto politico, amministrativo, economico e culturale è ipotizzabile un influsso lessicale della lingua ungherese, che nel periodo tra il 1868 e il 1918 si manifesta  nella formazione di calchi su modelli ungheresi, che erano in uso nel linguaggio amministrativo-economico della città. La relazione presenta i calchi sorti su modelli ungheresi raggruppandoli sotto l'aspetto tipologico e sotto quello onomasiologico. Alcuni dei calchi trattati sono a volte usati in concorrenza con altri termini corrisppondenti italiani, sanciti dalla prassi italiana, altre volte, prendendo il sopravvento, li sostituiscono conpletamente nell'uso.

            Le fonti della relazione sono costituite dallo Statuto di Fiume, dal Rapporto della Commissione per la nuova  nomenclatura delle vie, dai  Resoconti dell'amminsitrazione del Municipio e dai Rapporti statistico-economici delle Camere di Commercio e d'Industria.

            I calchi trattati nella relazione , ridotti numericamente per motivi di spazio e di tempo, oltre a costituire un invito a studiare a fondo i rapporti linguistici ungaro-italiani in questo settore, confermano anche la tesi che l'incontro duraturo, non più occasionale dei contatti tra culture e esperienze diverse, è sempre accompagnato da scambi e influssi linguistici che hanno effetti più o meno duraturi sulle lingue in questione.


Julijana Vuco

Università di Belgrado- Università di Montenegro (SR-CG)

 

 

L'insegnamento bilinue CLIL – italiano come lingua veicolare

 

Il concetto CLIL (Content and Language Integrated Learning) - nato nell'ambito di programmi di educazione bilingue in Europa -  è di grande attualità nell'ambito dei problemi di insegnamento di italiano per due motivi:

1)                              la necessità di trovare nuove modalità di insegnamento delle lingue straniere che portino ad un aumento della qualità dell'apprendimento linguistico, che consentano di creare le condizioni perché si possano raggiungere livelli più alti di competenza nella LS in linea con quanto specificato dal Quadro di  Riferimento Europeo;

2)                              il problema sempre più grave della presenza di alunni non italofoni (di recente immigrazione) nelle scuole italiane e negli altri paesi europei e per il quale bisogna trovare delle soluzioni metodologiche che consentano un apprendimento integrato sia dei contenuti non linguistici curriculari sia della lingua stessa, veicolo dei contenuti.

Prendendo atto delle conseguenze positive che i processi internazionali possono avere nell'ambito dell'educazione linguistica: plurilinguismo, pluriculturalismo, educazione continuata, mobilità, mediazione culturale e linguistica, contributi specifici al concetto di competenza comunicativa, la presente comunicazione

-                                  discute le differenze tra l'insegnamento bilingue ed educazione bilingue;

-                                  discute i pregi e i difetti dell'insegnamento bilingue;

-                                  discute i problemi di applicabilità dell'insegnamento bilingue nei sistemi curricolari europei;

-                                  offre le risposte concrete in merito all'insegnamento curricolare bilingue, con la lingua italiana in funzione di lingua veicolare.


Nina Vulelija

Università di Zadar (HR)

 

 

Gli echi del Paradiso dantesco nelle poesie di Ante Tresic Pavicic

 

Benche' l'affascinazione dell'opera di Dante duri anche oggi, Ante Tresic Pavicic, poeta proveniente dall'isola di Faro (1867 - 1949) , appartiene ad una generazione di poeti ed analitici croati particolarmente incantati dall'opera di Dante. Loro non solo che studiassero ed interpretassero l'opera di Dante, ma anche creavano seguendo il gran autore italiano il quale, com'e' gia' noto, aveva fatto uno sconvolgimento non solo nella letteratura occidentale, ma in generale in tutta la cultura. Pero', mentre dalla stessa apparizione di Dante fino ai giorni nostri e' la piu' visibile l'affascinazione dell'Inferno, Ante Tresic Pavicic era incantato per lo piu' dal Paradiso. L'influsso dantesco nelle opere di Ante Tresic Pavicic ha gia' provocato l'interesse degli analitici croati. Io menzionerei i professori Machiedo e Zoric. Il contesto e la maniera in cui l'influsso di Dante e' presente nelle opere di Ante Tresic Pavicic e' un campo che anche oggi puo' incitare un gran interesse di ogni persona a cui interessano i contatti della letteratura italiana con quella croata.

 

 


 

Nela Jurko

Università di Zagreb (HR)

 

 

La glottodidattica oggi: verso la comunicazione interculturale

 

Basandosi sull'approccio orientato all'azione si parte dal principio che chi apprende la lingua lo fa per usarla.

Chi apprende una lingua straniera acquisisce anche una nuova competenza che riguarda la cultura del paese in cui la lingua e parlata.

Le competenze linguistiche e culturali di ciascuna lingua vengono modificate e aggiornate dalla conoscenza dell'altra e contribuiscono in vari modi alla consapevolezza interculturale.

L'apprendente cosi, oltre ad essere capace di comunicare in una lingua straniera, diventa plurilingue e capace di mediare tra parlanti di lingue diverse che non sono in grado di comunicare direttamente.

 

 

Alberto Zava

Università di Venezia (IT)

 

 

Il doppio in Alberto Cantoni tra umorismo e suggestioni prepirandelliane

 

Nell'ambito della letteratura italiana moderna e contemporanea la categoria del doppio trova diffusa applicazione in modo particolare a partire dagli inizi del Novecento, quando l'indagine psicanalitica e gli studi inerenti la complessità e la non-univocità dell'io infrangono inesorabilmente l'unitarietà e la statuarietà dell'eroe-personaggio ottocentesco delineando una nuova figura, il nuovo ‘eroe' frammentato, disgregato e, nella sua stessa interiorità, contraddittorio e ‘sdoppiato'. A cavallo tra Ottocento e Novecento, galleggiando lievemente tra le correnti veriste e scapigliate e seguendo la felice scia dell'umorismo, si mette in evidenza un narratore di Pomponesco, in provincia di Mantova, quell'Alberto Cantoni citato ed ammirato da Luigi Pirandello nel suo trattato L'umorismo del 1908. L'autore siciliano, protagonista del panorama letterario del Novecento e sottile indagatore di biunivocità cruciali quali realtà-finzione, maschera-identità e teorizzatore di una duplicità di riso e pianto percepita grazie all'attività della “riflessione” nel “sentimento del contrario” (quasi un archetipo ideale del ‘doppio naturale', l'altro nascosto dall'apparire), trovò in Cantoni sorprendenti coincidenze per impostazione, tematiche e soluzioni teoriche, celebrandolo di fatto come il miglior ‘umorista' italiano contemporaneo.

Astratto dal clamore e dalla frenesia dell'ambiente letterario del tempo, Cantoni fece confluire nelle sue opere di narrativa (brevi novelle critiche, grotteschi, racconti e romanzi) elementi di impostazione verista e tratti di una certa letteratura fantastica propria della Scapigliatura, armonizzati da un'originalissima attenzione verso gli aspetti dell'umorismo e dell'introspezione (connotati decisamente, su vari livelli, dalla categoria del doppio) che lo avvicinano più ad una matrice novecentesca che ottocentesca. A dimostrazione dell'effettiva valenza del doppio nell'universo narrativo cantoniano, va segnalata l'alta frequenza di situazioni tematiche e di spunti analitici gestiti su un duplice (e spesso oppositivo) piano, così come la delineazione di singole, plastiche immagini in posizione nodale o di particolare rilevo teorico e programmatico. La celebre definizione pirandelliana, simbolo della concezione di umorismo del siciliano, «L'umorismo è un fenomeno di sdoppiamento nell'atto della concezione: è come un'erma bifronte, che ride per una faccia del pianto della faccia opposta» viene prefigurata da una esposizione del Re umorista dell'omonimo romanzo cantoniano del 1891 «Ho visto una volta Pierrot che stava serio da una parte e si scompisciava a ridere dall'altra. Io faccio peggio, ora. Sto serio per di fuori, e rido dentro di me. Ma rido male». Ed è lo stesso personaggio ad accogliere in sé l'effettiva duplicazione dei ruoli, di lì a poco tratto distintivo della produzione drammaturgica e romanzesca di Pirandello, rivelando una netta contrapposizione tra l'apparenza-maschera di re e la realtà-interiorità di uomo.

L'oscillazione e l'equilibrio sfuggente indotti già dal titolo L'altalena delle antipatie, “novella sui generis” del 1893, si scoprono interiorizzati nel protagonista di una vicenda incentrata sul matrimonio ma giocata attorno a lui solo, nei suoi continui e repentini “saliscendi”, che sfociano in un'inevitabile frammentazione contrastiva della personalità.

Nel 1905 lo sdoppiamento si sviluppa tematicamente in una sorta di ribaltamento ‘carnevalesco' di bachtiniana memoria quando, ne L'Illustrissimo, il ricchissimo conte Galeazzo di Belgirate si “maschera” da Lazzaro degli Abeti, l'alter ego (duplicato pure nell'anagramma onomastico) bracciante nelle proprie terre per un'indagine conoscitiva nella realtà dei propri dipendenti.

La centralità, inoltre, della componente umoristica nella produzione cantoniana incrementa ancor più l'occorrenza di livelli di ambivalenza, che della fenomenologia dell'umorismo e della sfera del comico costituiscono tratto caratterizzante ed imprescindibile.


Claudia Zudini

Università Paris VIII (FR)

 

 

Varietà intertestuale nel Mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante

 

Elsa Morante parlò del Mondo salvato dai ragazzini (1968) come della rappresentazione di un percorso di ricerca: quello del poeta, della sua necessità esistenziale “di aprire la propria e la altrui coscienza alla realtà”. Mossa dal sentimento di una simile inchiesta, la scrittrice sembra orientare in una nuova direzione, e con nuova fatica, l'immaginario dei primi romanzi, quello degli “arturi” e dei fantasmi familiari di Elisa, che già felicemente ha permesso alla critica morantiana di misurare la fascinazione affabulatoria dell'autrice rispetto ai motivi del doppio, del travestimento, del simulacro.

All'altezza del Mondo salvato, l'ossessione moltiplicatoria si compone ossimoricamente con il suo opposto, quello di una unicità rincuorante e vivida; il modello esistenziale che ne deriva si incarna nella invenzione creaturale dei “Felici Pochi”, dalla cui matrice sembrano caratterizzarsi tutti gli altri protagonisti positivi presenti nella raccolta poetica. A unificare le diverse sezioni della raccolta, tale modello sembra informare della propria contraddizione i diversi livelli del testo: qua e là si intersecano i motivi topici della novità/unicità (la creazione, la verginità, la purezza) con quelli della molteplicità/ripetizione (il ritorno, la ciclicità, l'allucinazione, il delirio), in corrispondenza di elementi simbolici ricorrenti (da una parte, la concentrazione paradigmatica del punto e della croce; dall'altra, l'evocazione di oggetti sfaccettati, di suoni d'eco, di ricordi ossessivi), nonché di stilemi inequivocabili (come le onomatopee infantili in opposizione alle frequenti figure di ripetizione).

Attraverso una contestualizzazione inequivocabilmente epistemologica (evocata in primo luogo dal repertorio simbolico della “metafisica della luce” di tradizione classica), la voce poetica affida, inoltre, al modello esistenziale degli “F.P.” la capacità di una intensa rappresentazione metatestuale della dinamica intertestuale in senso lato, ovvero della letterarietà stessa del testo. La compresenza di ingenuità e sapienza, che era il nucleo del dualismo enigmatico dei “Felici Pochi”, corrisponderebbe, in altre parole, al rapporto dinamico e necessario tra originalità/autonomia del testo, da una parte, e sua dipendenza dall'autorità di altri testi o tradizioni dall'altra. A questo tipo di lettura sembrano portare i diversi tipi di allusività che si alternano fino a confondersi nelle pagine del Mondo salvato. Citazione, indicazione esplicita delle fonti, traduzione, riscrittura, trasposizione saggiano il passato letterario di un'intera cultura (da quello remoto di Sofocle e della Commedia fino alla beat generation), costruendo una parola ibrida e tesa: “per tutte le cose leggibili / si dà sempre un'altra lettura nascosta”?


Aleksandra Žabjek

Università di Napoli (IT)

 

 

Riflessioni sullo sdoppiamento letterario

 

 

L'intervento intende vagliare lo sdoppiamento letterario di una nazione piccola, ma prosperosa che da secoli vive ai confini orientali del mondo italiano, dentro e fuori. Anche se delimitata dalle grandi letterature circostanti italiana, tedesca, ungherese e croata, è rimasta aperta ai loro influssi incessanti, come il punto di partenza o il punto di arrivo dello sdoppiamento. Esso è inteso quale frutto di un processo naturale di apertura o di chiusura culturale che arricchisce o impoverisce l'attività letteraria stessa. L'esempio tratto dal mondo sloveno, che dal 1° maggio 2004 si muoverà su una scena culturale letteraria mutata, può servire da spunto alle numerose riflessioni all'interno delle quali si distinguono altri ‘doppi'. Basta soffermarsi sulla scelta della lingua o sulla figura del lettore come parte integrante di un ambiente per intuire l'importanza del fenomeno.

 



[1] Walter Benjamin, Angelus Novus, Einaudi, Torino 1982, p. 134.

[2]  R. Ceserani, “Il filo dell'orizzonte: è Luino o Duino il posto dove andare?” in Dedica a Antonio Tabucchi, Pordenone, Associazione Provinciale per la Prosa, 2001, pp. 141-156 (p. 143).

[3] Orazione di Lionardo Salviati nella quale si dimostra la fiorentina fauella, e i fiorentini autori essere a tutte l'altre lingue, cosi antiche, come moderne, e a tutti gli altri scrittori di qualsivoglia lingua di gran lunga superiori, 1564.

[4] Il Dipartimento di Italiano dell'Università di Warwick ha attivato circa sedici corsi di lingua e cultura italiana rivolti a studenti di livello principiante, intermedio e avanzato. Tutti i programmi universitari proposti hanno una durata complessiva di quattro anni accademici, di cui uno, solitamente il secondo, è definito year abroad (“anno all'estero”) e viene svolto in un'università italiana, dove vengono seguiti determinati corsi. In ogni programma è unito lo studio della lingua e/o letteratura italiana ad un'altra letteratura europea (francese, tedesco, inglese - Italian with French, Italian with German, English and Italian Literature -) o allo studio della letteratura europea in generale (Italian and European Literature) o a studi di cinema e spettacolo (Italian with Film Studies, Italian with Theatre Studies) oppure internazionali (Italian with International Studies).

[5] Cfr. Baldacci A., e altri, “Un curricolo di scrittura per la scuola superiore”, LEND, La Nuova Italia, Firenze, n. 10, 1995, pp. 45-90.

[6] Cfr. CERAMI VINCENZO, intervista rilasciata sul «Caffè letterario»

[7] Basta menzionare un appendice letterario a „New York Times” del febbraio 1999.

[8] Come soleva, del resto, nominarsi, essendo cosciente di quello chi / che è (cfr.: l'intervista condotta da E. Fadini, [in:] Primo Levi. Conversazioni e interviste 1963-1987, Einaudi, Torino 1997).

[9] Faccio riferimento qui alla nozione d'intimismo come è stata definita e analizzata in letteratura da Daniel Madelenat. Cfr. Daniel MADELENAT, L'intimisme, Paris, Presses Universitaires de France, 1989.

[10] Roger CHARTIER, « Avant-propos » a Norbert ELIAS, La société des individus, Paris, Fayard, 1991, p. 19 [traduzione nostra].